ROMANZO A PUNTATE: THE LOST BONES – Capitolo 6 “Il Killer dei corridoi”

Quel giorno pioveva. Me ne stavo appoggiata al muro in attesa degli altri con l’immagine di quella figura ancora impressa nella mente. Molto probabilmente era il tizio con cui mi ero scontrata in palestra, altrimenti non mi spiego il gesto. Quel gesto…perché minacciarmi in quel modo. Una lampadina si accese di colpo, e se fosse la stessa persona che ci aveva chiusi dentro quella stanza? Inoltre, perché rischiare di far sparire sei ragazzi in una volta sola? Avrebbe potuto ucciderci all’istante, ma ha preferito chiuderci direttamente lì dentro. Forse aveva fretta e non aveva il tempo, essendo uno contro sei ha preferito la via più veloce. Che cosa stava cercando? Sicuramente qualcosa di molto grosso se è arrivato a tanto. Per ora non volevo accennare nulla agli altri di quel che era successo; probabilmente ha riconosciuto solo me dato che in palestra aveva più possibilità di vedermi in volto. Una voce mi destò dai miei pensieri. -Ecco da dove arrivava tutto quel fumo- rise Olivia. -A cosa pensi?-. Io scossi la testa, come per scacciare quelle domande. -A niente, ero semplicemente incantata a guardare il vuoto- mi grattai la guancia. Ottima scusa Zoe. Olivia chiuse l’ombrello. -Iniziamo ad entrare?-. Io annuii seguendola. Ci accomodammo al solito posto. Subito dopo esserci sedute entrò Francesca, le feci segno con la mano. -Fra- la chiamai per attirare la sua attenzione. Appena mi vide si diresse verso di me. -Ciao ragazze, scusate ma con sta pioggia il pullman ci ha messo un sacco- disse sedendosi di fronte a me. -Tranquilla io sono arrivata cinque minuti fa- la informò Olivia. Micheal e Giosuè fecero capolino nel bar. -Ciao ragazze- esclamarono. Entrambi si accomodarono al tavolo. -Prima di uscire ho preso una cosina- disse Micheal frugando nello zaino. Tirò fuori le due pagine del libro e la piantina della scuola poste accuratamente dentro una bustina trasparente. -Ottima idea Mik, ci aiuteranno a capire meglio questa storia- sorrise Francesca. Lui arrossì. Finalmente ci raggiunse anche Hope. -Eccomi ragazzi- annunciò entusiasta sedendosi vicino a me. -Mik ci ha portato una cosa- le sorrisi. -Ohh, che cosa?- ricambiò lei. -Questa- disse Micheal indicando sul tavolo la bustina. -Dopo tutto quel trambusto me le ero scordate- si batté la mano sulla fronte Hope. -Non eri la sola- rise Olivia.

Subito dopo aver ordinato, presi il giornale ponendolo al centro del tavolino. Hope aveva già tirato fuori il suo portatile. -Prima che Mik ci avvertisse del ragno ho letto una data- indicandola sulla pagina. -1987- lesse Giosuè, avvicinando il giornale a sé. -Però il giornale in prima pagina riporta un evento avvenuto nel 1978- sottolineò Olivia.-Inoltre è un giornale che esiste ancora oggi, mio padre lo legge tutte le mattine- disse Francesca. -Allora che c’entra quella data?- domandai. -Si ricordano le vittime di un incidente stradale molto grave, avvenuto il 7 ottobre 1978- lesse Giosuè. -Fammi vedere- gli porsi la mano. -Lui mi passò il giornale. Una volta preso, lessi il contenuto dell’articolo. -In prima pagina dice solo quello che ha letto Giosuè, per leggere tutto l’articolo, però dobbiamo andare a pagina 24-. Iniziai a sfogliare ma qualcosa catturò la mia attenzione. -Allora che dice?- mi domandò Olivia. -Niente… l’articolo è stato tagliato- sospirai mostrando la pagina. -Perfetto un buco nell’acqua- sbuffò Giosuè. Mi appoggiai allo schienale frustrata, chiudendo gli occhi. Tirai un lungo sospiro. Okay Zoe pensa a qualcosa. -Idea!- esclamai riaprendo gli occhi. -Il nostro professore di diritto ci ha fatto leggere degli articoli su questo giornale-. -E quindi?- chiese Olivia. -La redazione ha archiviato online tutti i giornali che sono stati pubblicati, quindi basta andare sul sito e cercare nell’archivio il giorno e la data di questo numero- indicai il giornale. -Procedo immediatamente- disse Hope digitando sul suo portatile. -Ma allora ogni tanto le ascolti le lezioni di diritto- rise Francesca. Io di rimando le feci la linguaccia diventando rossa come un peperone. -Scusate, in che senso?- chiese confuso Giosuè. -Niente, niente- rise Francesca. -Quando sarai più grande ti spiegheremo-. Per fortuna Hope mi salvò da quella situazione. -Trovato!- esclamò contenta. Girò il portatile verso di noi con fare fiero. Sullo schermo apparvero le foto di sette persone, di cui sei ragazzi e un uomo sulla quarantina. Hope fece scorrere la pagina permettendoci di leggere il contenuto dell’articolo. Queste sette persone erano rimaste vittime di un incidente stradale durante una gita scolastica. Il signore sulla quarantina era il professor Giacomo Gorgorne, e i sei ragazzi erano i suoi alunni. L’articolo proseguiva descrivendo le dinamiche dell’incidente. Secondo la polizia i freni smisero di funzionare, per questo il veicolo andò a schiantarsi contro lo spartitraffico provocandone il ribaltamento. La cosa che però attirò la mia attenzione fu la frase finale.

Ancora oggi non ne conosciamo le cause, sarà stata l’ultima opera del killer dei corridoi?”

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Per conoscere meglio la storia del killer dei corridoi i nostri ragazzi contatteranno un detective alquanto bizzarro.

Scoprirete di più nel prossimo capitolo: “un bizzarro detective”

Elisa Battista

ROMANZO A PUNTATE: THE LOST BONES – Capitolo 5 “Trappola per topi”

 

-Come siamo chiusi qua dentro?- esclamai. -La porta non si apre più, è bloccata dall’esterno- sospirò Hope. Francesca prese il braccio di Michael evidentemente impaurita. -Moriremo qui dentro?- tremò lei. -Ehi, nessuno morirà qui dentro! Così come vi ho fatti entrare vi farò uscire- mi diressi verso la porta cercando di aprirla. Era troppo pesante. -Zoe non insistere vediamo se c’è un’altra via d’uscita- disse Hope afferrandomi il braccio. Sospirai frustrata e avanzai all’interno della stanza. Grazie alla poca luce che emettevano i nostri telefoni riuscii ad intravedere i letti alla mia destra e alla mia sinistra. Avanzai nel corridoio in mezzo ad essi contandone dieci, cinque per lato. In fondo alla stanza notai degli armadi e una libreria. Gli altri iniziarono a setacciare la stanza. Aprii un armadio trovandoci dentro medicinali ricoperti di secoli di polvere, sospirai rassegnata e passai al prossimo trovandoci le medesime cose.

Nel terzo, invece, trovai molti giornali, sempre molto impolverati. Ne afferrai uno scuotendolo un po’ in modo da rimuovere la polvere e riuscirne a leggere il contenuto. Dopo aver tossito un paio di volte, analizzai la prima pagina. Notizie di cronaca e politica dominavano l’intera pagina; inoltre era riportato l’anno, 1987. Un urlo alle mie spalle mi fece volare il giornale dallo spavento. -Un ragno!- esclamò Michael. Mi battei la mano sulla fronte pensando alla virilità andata chissà dove. Appena vide l’espressione corrucciata di Francesca, si ricompose e si schiarì la gola. -Attenti c’è un ragno, era un modo per avvisarvi ecco- si passò la mano tra i capelli. Lei inclinò la testa di lato, non del tutto convinta. -Mik aiutami qui- lo afferrai per il braccio trascinandolo via da quella situazione imbarazzante. -Aiutami a spostare i letti- glieli indicai. Iniziammo a spostare qualche letto. -Grazie Zoe- sussurrò lui. -Figurati, se vuoi ti aiuto a rimediare- sorrisi. -Sì grazie, ne ho bisogno- ridacchiò.

Passammo un’ora a rovistare, ma senza successo. Ci sedemmo sfiniti a terra. -Tra mezzora la vicepreside verrà a vedere la situazione, e se non ci trova ci ammazzerà- sospirai appoggiandomi al muro. -Già, se non ci sbrighiamo è la volta buona che ci sospende- borbottò Olivia. -Merda- esclami. Il mio telefono si spense. -Moriremo qui dentro- piagnucolò Michael salutando così gli ultimi rimasugli della sua virilità. Hope si avvicinò a lui. -Calma Mik troveremo una soluzione- gli mise una mano sulla spalla. L’unico che non si era ancora pronunciato sulla situazione era Giosuè. Se ne stava in disparte a rimuginare. -Riprendiamo le ricerche- suggerì Francesca. -Non dobbiamo abbatterci-. Non ascoltai molto il resto del discorso ero impegnata a capire cosa gli passasse per la testa a quel ragazzo. Nella fioca luce emessa dalla sua torcia, intravedevo la fronte corrucciata e il dito che batteva sul suo mento. Si riavvicinò nuovamente alla libreria. Mi alzai e lo raggiunsi. -Tutto bene?- chiesi. Lui annuii con la testa. -E solo che c’è qualcosa di familiare in questa libreria-. Puntò la luce su di essa. In effetti non ci avevamo dato molto peso dato che conteneva solo libri. -Ma certo!- esclamò facendomi sobbalzare. -E’ uguale a una di quelle che c’è nella biblioteca della scuola-. Mi voltai verso gli altri. -Presto buttiamo giù tutti i libri!-. Loro accorsero e iniziammo a tirarli giù.

Ai nostri piedi c’erano pile di libri, mentre di fronte a noi ne rimaneva solo uno. Giosuè si avvicino e fece per prenderlo, ma esso si rivelò tutt’altro che un libro. Di colpo la libreria di fronte a noi iniziò a spostarsi verso destra con un movimento stridulo. Di istinto ci tappammo le orecchie in attesa che quel rumore cessasse. Appena si arrestò Hope si battè la mano sulla fronte. -Raga è il trucco più vecchio del mondo, come abbiamo fatto a non pensarci?-. Scoppiò una risata generale. -Ora sbrighiamoci prima che la vicepreside diventi Hulk-. Gli altri iniziarono ad avviarsi su per le scale. Prima di seguirli raccolsi il giornale che Michael mi aveva fatto volare prima. Sono sicura che leggendolo capiremo qualcosa. -Vieni Zoe o resterai al buio- mi prese la mano Hope.

Quell’infinita scalinata terminò davanti ad un’altra libreria identica a quella precedente. Giosuè tirò il medesimo libro ed essa cigolò leggermente. Con una piccola spinta si aprì e ci ritrovammo nuovamente nella biblioteca. -Zoe è stata inseguita da un pazzo per prendere la mappa quando bastava tirare una leva a forma di libro?- ironizzò Hope. Feci spallucce. -E’ una cosa che capita tutti i giorni, sono abituata- le feci l’occhiolino ridendo. -Almeno ora sappiamo come scappare- puntualizzò Francesca. I due uomini del gruppo richiusero la libreria. -Che ci fa qui questo passaggio? Che senso ha avere più entrate per quel posto?- domandò Olivia. Mostrai il giornale. -Forse questo ci aiuterà-. Lo misi sul tavolo. Prima che potessi riaprirlo fui interrotta nuovamente, ma questa volta da un suono molto familiare, i tacchi della vicepreside. Misi velocemente il giornale nello zaino. Nel giro di pochi minuti varcò la soglia della stanza. Si guardò intorno. -Ottimo lavoro ragazzi, ora potete andare-.

Una volta usciti dalla scuola e percorso il sentiero salutai gli altri. -Appuntamento al solito bar domani?- li guardai. Loro annuirono. Ognuno andò per la propria strada.

Mi incamminai verso la fermata del pullman con la musica nelle orecchie, ripensando all’esperienza che avevamo appena vissuto. Cos’era quel posto? Perché qualcuno voleva chiuderci in quel posto?

Con mille domande che affollavano la mia mente salii sul pullman. Mi accomodai all’ultimo posto vicino alla finestra appoggiandomi a essa. Appena il mio sguardo si rivolse all’esterno, notai dall’altra parte della strada, una figura che indossava un cappotto nero lungo, con il volto coperto da un cappello rovinato con la visiera. Alzò lentamente la mano, coperta da un guanto, ghigliottinandosi la gola con il pollice.

Il pullman partì.

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Che notizie nasconde il giornale?
Chi era quella figura misteriosa?
Scopritelo nel prossimo capitolo: “Il Killer dei corridoi”

Elisa Battista

(ex 5 C, ormai studentessa universitaria)

Nome di battaglia Mosca

A mio padre

A tutti i partigiani

 Quella notte del martedì 24 aprile non avevamo dormito, eravamo stanchi,  carichi di aspettative e di paure per la notte che dovevamo affrontare. Gli ordini erano stati recepiti e il sangue bolliva; faceva freddo e nella cantina della cascina di Aramengo che ci nascondeva si sentivano parole, frasi e ricordi degli amici partigiani che non ci sarebbero stati per l’impresa della mattina seguente…”Sentito Pin quel rumore che vien da fora? Eh, o sentito?” diceva Meo il veneto. Pin se ne stava accartocciato nel suo pagliericcio a mugugnare che aveva fame e che magari ci fosse una gallina là fuori che le avrebbe tirato il collo subito. “E ora se no te ve ti a vedere, n’darò mi che no so tranquio…me ricordo sempre del Garlasco, seto, che fine chel ga fatto chea notte, insieme tutti st’altri, dopo che chea bestia dea contessa la ga parlà coi so amissi neri…xe sta così bruto chel  rastreamento che te o lezare’ sol libro de storia… vero Pin?”

Ma Pin continuava a mugugnare e a dire parole e a battere i denti. Chissà che ora era, i rumori del cortile mescolavano fruscii di foglie, razzolare di qualche animale, l’“hu-u-ou” della civetta che faceva rabbrividire, il raspare dei cani che si abbaiavano a vicenda, raccontandosi storie anche loro, le storie ululate della notte e quella notte era davvero una strana notte, pareva che contenesse sguardi, umori, paure, ribellioni, sogni, pareva soffocante e desiderata e non sembrava aver confini.

Si alzò il Diavolo rosso, salì le scale e  andò verso la porta, socchiudendola quel po’ da permettere ad un raggio di bianca luna di penetrare lievemente all’interno e lasciar intravedere fino giù i corpi agitati, gli occhi sbarrati alla ricerca di qualcosa. Si spinse fuori piano per ruotar veloce la testa e annusare l’aria e poi rientrò, forse rassicurato un poco e si sdraiò di nuovo e provò a chiudere gli occhi…

L’aria pareva solida, non entrava dentro ai polmoni, come si poteva dormire con tutti quei sentimenti. “Ehi Mosca, hai un pacchetto di Popolari, eh?”

Me ne stavo rattrappito a rimuginare tra me e me, tanto che non pensavo nemmeno a fumare: chissà cosa starà dicendo Radio Londra e se gli alleati stanno avanzando nel bel mezzo della notte, e poi dalle parole di Saetta dell’altro giorno non abbiamo più avuto notizie. E’ venuto il 19 a dirci di Torino, dell’agitazione del giorno precedente, che gli operai erano scesi nelle strade con gli studenti, tutti gli stabilimenti erano fermi, tutto serrato, tutto sospeso, solo la gente si muoveva e urlava “sciopero generale, sciopero generale!” perché era iniziata la battaglia della liberazione.

Saetta raccontava che i Comandi Zona assicuravano la viabilità alle forze alleate che arrivavano da Genova e da Piacenza. Si vedevano fuggire capi fascisti e persone sospette venivano fermate. Raccontava con spasimo, con quella vena del collo che si gonfiava di ardore giovanile.

Saetta mi è piaciuto dalla prima volta che è arrivato a Primeglio, quando stavamo nascosti vicino alla Madonnina perché Matteo e Gisella, mia sorella, staffetta anche lei, ci davano un pollo e la polenta e anche un bicchiere di Barbera: era una festa quando si sentiva il profumo del vino. E poi magari sbucava anche Luigi, rientrato a casa malato dopo il ’43 e mi dava una pacca sulla spalla con la sua voglia di ridere e di fare scherzi. “Guarda chi c’è, Giuseppe eh?” Si stava un po’ in allegria, ma sempre col fiato sospeso, perché quello era posto di tedeschi. E arrivava anche Rina, la più piccola che voleva prendere la bicicletta di Saetta e gli saltava in braccio, cercando una carezza.

Saetta era di casa; se lo ricordavano tutti quando era arrivato con la sua bicicletta sovversiva, il bavero della giacchetta tirato su e il cappello di lana grigia sugli occhi che il prete gli diceva “Ma tirati su quel cappello Saetta che non ci vedi e vai contro un albero!” Giungeva di fretta, con la vena del collo gonfia dalla corsa sulle colline e ci consegnava le disposizioni, senza tante parole: un ragazzo di quindici anni forse, con lo sguardo all’orizzonte. Mangiavamo insieme, poi fumava la sua Milit, due parole e se ne ripartiva con quella vena che pulsava.

“Sì, tieni Diavolo, la Popolare, vengo fuori anche io a fumare che intanto qui non si respira”. Gli diedi la sigaretta e strofinai lo zolfino sul muro della stalla. Diavolo tirava su delle boccate che neppure il demonio in persona sarebbe riuscito; si sentivano i suoi bronchi ansimare come il fondo più remoto di una caverna.

“Penso alla Gina”, disse “chissà se ancora mi aspetta, ho sentito dire che anche lei collabora su da Cocconato. Cosa dici Mosca eh? Saranno arrivati gli alleati giù a Torino, avranno sparato, avranno catturato dei tedeschi? Dobbiamo scendere dai boschi fino a Bosco Rotondo, andar giù piano nell’oscurità che i tedeschi son pronti da qualche parte a farci un’imboscata. Mosca dai, cominciamo a scendere che qui non si combina niente di buono ad aspettare… ad aspettare che cosa? Che arrivino a stanarci come delle iene bastarde e affamate?”

Diavolo era così, impetuoso e di fuoco prima di una battaglia, ma dovevo stare calmo e il ricordo del tradimento della contessa e del rastrellamento successivo che ne aveva portati via troppi di compagni, mi aiutava a restare ancora fermo. Guardavo il cielo solitario lassù che con le sue stelle pareva continuare dal nero della sagoma della collina e strizzavo gli occhi per distinguere la forma della chiesa. Ripassavo le direttive del CLN date la sera stessa a tutti i Comandi di Zona e trasmesso a noi. Dovevo scendere coi ragazzi della “Montano” anche prima dell’arrivo degli alleati, perché era stato detto che Torino doveva liberarsi da sola e che giù avremmo trovato formazioni cittadine a far da cintura protettiva alla città. L’aria passò veloce quasi a scuotermi dal mio silenzio e sentivo le boccate del Diavolo… “ Tra un po’ si va, Diavolo, preparati. -Aldo dice 26 x 1 !-”

“Dai ragazzi prendete queste due tome che ho nello zaino e aprite quella bottiglia di Matè che ci scalda prima di metterci in armi, bestie di combattenti col sangue che ribolle”

Ci dividemmo le tome col pane secco e bevemmo il vino in silenzio, scambiandoci sguardi. Era venuta l’ora, il buio era al punto giusto e la luna lasciava spiragli  che aiutavano a confondere le ombre degli alberi con le nostre. Caricavamo i fucili e le munizioni negli zaini, la mitragliatrice e  regolavamo i cinturoni dei pantaloni con le pistole e i coltelli, sistemavamo i lacci degli scarponi e ci stringevamo le giacche. Era venuta l’ora di scendere. Dissi andiamo ragazzi che Torino ci aspetta e non dobbiamo crepare nel vento delle colline.

I fruscii delle foglie sussurravano nomi e per terra schioccavano i legni, si mescolavano odori di bosco e di guerra, si scendeva, si scendeva: il tempo sospeso ci schiacciava e spingeva. L’aria era trasparente e si vedevano i nostri respiri, le parole sussurrate ci legavano e gli occhi cercavano intorno.

Superata la prima tratta di collina  ci tuffiamo per terra e strisciamo sull’erba perché sparano coi malefici sputafuochi: i tedeschi, i tedeschi! “Stai zitto e vai, continua Diavolo che non ci vedono” E tutti con la gola chiusa strisciamo ancora, e ci mettiamo in ginocchio per aggrapparci agli alberi e tirarci su. Il patema ci rincorre, vorrei urlare per far uscir la tensione che mi chiude lo stomaco e mi soffoca, non controllo il respiro e il cuore mi pulsa nelle orecchie. Ci siamo, ce la facciamo ragazzi, sentite i colpi che sembrano la festa della liberazione. Nella mente si confondono immagini, mentre rovisto per terra per capire cosa fare: mi appare l’immagine di Pietro tornato dall’Algeria a Cocconato, nero di pidocchi che non era bastata una bomboletta di flit ad ammazzarli,; è lì come a indicarmi di andare che c’è il muretto a riparare… Si va ragazzi, si va… ci muoviamo tra le bombe dei tedeschi come caprioli sulle rocche del Rocciamelone. La voce di Pin urla insieme allo scoppio di una granata che lascia a terra cinque compagni e sferza la corteccia di un albero. Sudore e rabbia si mescolano al sangue dei feriti e alla terra. “State qui che tempo due ore e qualcuno sale a prendervi. Lupo, Baffo, Piccard restate con loro. Legate la ferita di Pompeo che perde troppo sangue.” Continuiamo a scendere e a Bosco Rotondo saliamo su tre camionette e facciamo il  tratto fino a Chieri e poi saliamo verso Pecetto; le bombe non ci riguardano più. Vediamo in lontananza, lungo un sentiero nascosto nell’ombra, una brigata nera; una voce intima di fermarci e partono colpi di fucile, ma noi andiamo veloci, spariamo qualche colpo e li seminiamo.

Le prime luci dell’alba rischiarano la notte fredda e i nostri volti tesi. Ci siamo, ragazzi, ci siamo… Da Pecetto scendiamo a piedi e ci uniamo a formazioni di cittadini, respiriamo l’aria della insurrezione di Torino, spariamo al nemico che si ritira e che distrugge, a squadre che si muovono per compiere sabotaggi… e  corriamo giù dalla collina di Moncalieri per entrare in città dal ponte Isabella e chiudere a tenaglia, e raggiungere Piazza Vittorio…-Aldo dice 26 x 1 !-

Sono stordito dalle granate e dagli spari e corro col fucile spianato, sento il vento e il sole tiepido, sparo al nemico che compare e ammazza più borghesi che partigiani, sparo al nemico che ha ucciso, ha torturato, ha fatto razzie, ha bruciato cascine; sparo e non mi fermo perché l’ora della libertà è questa. Entriamo sul ponte, ci siamo ragazzi…ci siamo. Sento i respiri, gli affanni, gli spari, le granate che sibilano, vedo la luce dell’aria carica e densa, sento la pioggia della mitragliatrice e corro, corro e sparo.

Un calore bruciante mi sale al cervello, la gamba non risponde, la gamba trema, la gamba si apre e lascia scorrere un liquido caldo e cado per terra tra il sangue… guardo il cielo e poi, più niente.

Quella domenica mattina di fine aprile del 1964 c’è il sole e sono seduto davanti alla Consolata a prendere il Bicerin. Mia figlia ha quattro anni e corre sulla piazza ridendo con mia moglie. Gusto quella bevanda che pare la liberazione dei sapori curati da abili mani. “Tu sei Mosca!” Mi giro di colpo e sento come un vortice di tempo che mi prende. Lo guardo negli occhi, lo guardo e vedo quella vena sul collo… “Saetta…Tu sei Saetta”.

Gli occhi umidi di commozione sfumano il suo volto.

Mi alzo e ci abbracciamo in silenzio, a lungo.

 

Elisabetta Boschiggia

Ringrazio per la preziosa collaborazione i miei cugini Marina Conrotto e

Flavio Boschiggia

Riscoprire la Bellezza e il suo valore

Al concetto di bellezza non è possibile attribuire un unico significato, poiché ogni
persona la associa a qualcosa di diverso; si tratta, in ogni caso, di qualcosa che suscita
dentro ognuno di noi un sentimento piacevole, che ci fa stare bene e ci appaga
l’animo.
Questa “magnificenza” possiamo coglierla tramite i nostri sensi, perché è attraverso gli
occhi che possiamo notare lo splendore di un panorama ed è con il gusto che
troviamo il piacere di assaporare piatti nuovi, è mediante l’udito che si può godere
la melodia di uno strumento e con il tatto riscoprire l’incanto di una carezza,  infine è
con l’olfatto che possiamo riscoprire odori ormai dimenticati.
Al giorno d’oggi abbiamo. però. scordato il vero senso della bellezza, l’abbiamo
sottovalutata e l’abbiamo associata a cose superflue,, come l’aspetto estetico di una
persona, l’eleganza di un abito, l’acquisto dell’ultimo modello di un telefono o di un
paio di scarpe, e l’abbiamo, così, privata delle sue semplici qualità.
Mi sembra di poter dire che ora abbiamo riscoperto in parte il senso della bellezza, ora, rimanendo a casa, ora che proviamo emozioni nella lentezza del tempo sospeso, non più impegnati a scorrere le inutili pagine del nostro telefono, a rispondere a
inconcludenti messaggi rivolti a persone cui non siamo davvero interessati; ora che
abbiamo scoperto coloro che ci amano gratuitamente, senza doverlo
dimostrare attraverso una foto postata sui social.
Ci stiamo accorgendo delle cose che veramente ci rendono felici e di quanta
fortuna avessimo già prima di tutto questo, quanta bellezza ci circondava, quante
persone davvero tenevano a noi mentre eravamo indaffarati nell’ammirare ogni
cosa materiale e mai ciò che il nostro cuore provava a indicarci.
Ci eravamo dimenticati il vero significato della bellezza, che risiede nella
semplicità e ci eravamo “montati la testa” per inseguire modelli e personalità che non ci
appartenevano, nascondendoci dietro ad un viso che non era il nostro e sorvolando su
sensazioni che agli occhi degli altri ci facevano sembrare deboli o strani.
In questi giorni di silenzio e di stasi ho davvero scoperto quanta bellezza vi è in un abbraccio desiderato, in un bacio o in una carezza di conforto, in un “ti voglio bene”
spontaneo o in un grazie ogni tanto: sono tutti piccoli gesti che, come mi dice
sempre papà, “valgono tanto per chi li riceve e costano poco per chi li dona”.

Ho meditato molto anche sulla bellezza dello stare insieme e godersi l’affetto della
propria famiglia, mi sono pentita di non aver mai preso sul serio i consigli di mio
papà, perché ero convinta che le cose davvero importanti per me lui non le sapesse,
quando, in realtà, ne era a conoscenza talvolta anche più di me stessa. Mi sono resa
conto di non aver mai ricordato a mio fratello quanto gli voglio bene, perché ero
impegnata a rispondergli male e non ascoltarlo, anche quando lui cercava solo un
po’ di affetto e tempo da passare insieme a me. E solo ora che non posso vederli, mi
sono anche accorta di non essermi davvero goduta gli abbracci di mia nonna e i
sorrisi di mio nonno, ho capito di aver sprecato tempo a litigare col mio fidanzato
per cose che non avevano davvero importanza e avergli attribuito colpe che non gli
appartenevano…
Ho capito di aver sottovalutato l’importanza delle uscite con gli amici o le
serate in discoteca, perché tanto ormai erano routine; mi dispiace di non aver
apprezzato i viaggi e le gite vissute in famiglia, perché  le vedevo come una cosa
“normale” anziché valutare gli sforzi di papà per potersi permettere di portarci in
posti così belli.
Soprattutto ho riscoperto di avere dei passatempi che mi appagano e mi
danno felicità, non avevo idea di quanta bellezza ci fosse nel leggere un libro, nello
scrivere qualche pagina di diario e nel passare il tempo in giardino, piantando nuovi
fiori o pitturando i vasi rovinati dall’inverno. Ho riscoperto anche il piacere di
cucinare una torta, di disputare una partita a carte con la mia
famiglia e guardare un film tutti insieme, ho capito che è bello darsi una mano,
portarsi rispetto e donare tranquillità anche ai nostri cari, anziché pensare solo a noi
stessi. Mi sono resa conto di aver dato poca importanza al dimostrare i miei
sentimenti verso le persone cui tengo e ora, che sono lontana da loro, non posso
restituire se non attraverso una chiamata, senza avere l’opportunità di
dimostrarglielo davvero.
A mio parere questa quarantena ha portato molte sofferenze, ma anche molti
doni: ci sta dando l’occasione di ricominciare, di ragionare sui nostri errori e non
commetterli in futuro, di apprezzare ciò che abbiamo e trovare la bellezza nelle
piccole cose, perché, alla fine, è lì che si trova. Un po’ di tempo fa avevo letto una
frase di Anna Frank che mi è piaciuta molto: “Pensa a tutta la bellezza ancora
rimasta attorno a te e sii felice.” È proprio vero: molto spesso dovremmo fermarci e apprezzare quello che abbiamo senza doverci costruire mille realtà diverse e false .
Per notare la bellezza dobbiamo affidarci alle cose vere che costituiscono la nostra
vita, perché è attraverso la verità che si ritrova coerenza con la realtà.

ELISA CLERICO

Classe IV B

bell 2
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Vi scrivo dalla mia cameretta perché…

Ciao a tutti, sono una ragazza piuttosto pigra, perciò non pensavo avrei avuto così tanti problemi in questo lungo periodo di chiusura per il virus, eppure mi sono accorta che sul foglio dove ho segnato i giorni della quarantena essi sono crocettati con un tratto sempre più calcato ed irritato, perché  sono tutti uguali, non c’è un giorno in cui vedo un’amica e uno in cui esco con il mio ragazzo, uno in cui perdo o prendo il pullman, uno in cui prendo il toast o la pizza al bar, c’è un unico lunghissimo giorno in cui mi sveglio e sono qui, e basta. Il virus, insomma, ha messo alla prova la società, ha chiesto a tutti di fermarsi e di riflettere e le persone hanno reagito sia con difficoltà, esprimendo sentimenti di  paura, di diffidenza verso chi sta intorno e di pessimismo, sia  con comportamenti positivi, ad esempio esprimendo la creatività e l’adattarsi alla situazione.Nella zona di Torino di San Salvario, ad esempio, molte persone si sono affacciate dalle finestre e dai balconi a cantare e a suonare insieme, nonostante la situazione.  Alcune persone hanno criticato queste esternazioni, come se si stesse prendendo alla leggera la situazione, ma, a mio parere, chi è uscito dai balconi ha semplicemente trovato un modo per passare il tempo, cercando di stare insieme, pur se ognuno da casa propria, comunicando un po’ di positività e di buon umore.

In ogni caso,oltre a questo,credo che la riflessione sulla tecnologia di oggi, che ci permette azioni impensabili fino a non molti anni fa, come i messaggi, le videochiamate, grazie alle quali possiamo vedere e parlare direttamente con chi vogliamo o la possibilità di mandare foto e video a chiunque in pochi istanti, vada fatta. Spesso gli adulti dicono che stiamo troppo attaccati al cellulare, quasi sostituendo la vita vera con quella virtuale, ed ora che l’unico modo per comunicare è usare la tecnologia anche per loro, io non credo di essere l’unica a sostenere che sarei disposta a buttar via telefono e computer all’istante, pur di vedere qualche amico per davvero. A me personalmente manca in modo smisurato il contatto fisico con gli amici e con le persone in generale, ci sono veramente troppe cose che nessun oggetto, e neppure il cellulare, sarà mai in grado di sostituire… Guardare negli occhi qualcuno e vederli brillare tanto da volerci sprofondare dentro, sentirne la risata in modo nitido, dare un abbraccio, una pacca sulla spalla, buttarsi sul divano insieme ridendo e guardare un film commentandolo, mangiare insieme e un’infinità di altre cose che non potranno mai esser sostituite da nulla, perché belle solo se vissute davvero.

Ricordo con tanta nostalgia l’ultima serata passata a casa di amici, ho sempre pensato che non facevamo mai nulla di speciale, eppure ora quel “nulla” è più speciale che mai.

È in questi momenti che si realizza che “casa” non è solo un edificio, ma sono anche le persone con cui si sta, forse soprattutto loro, il calore che ci danno e che si può percepire nell’atmosfera. Io amo la mia casa e la mia camera, così come i miei genitori, ma sento freddo, un freddo che mi circonda e mi entra dentro, così protendo le braccia pensando ci possa essere qualcuno, ma le sento circondare me stessa, perché ci sono solo io.

Per questo motivo ho scritto una lettera ad una persona a cui tengo molto, per far sì che avesse qualcosa di mio da tenere e da conservare… Le lettere hanno un grande fascino che si è ormai perso nel tempo, a causa di tutti gli strumenti precedentemente citati, eppure è stata veramente un’esperienza bellissima scriverne e mandarne una. È quasi strano parlarne come se fosse una cosa straordinaria, in fondo i nostri genitori hanno comunicato con lettere da giovani.

Mi è venuta in mente questa idea di scrivere una lettera, anche perché insieme a mia cugina avevamo ritrovato delle lettere dei nostri genitori, e a me personalmente piacerebbe un giorno lontano, ritrovare delle lettere della mia giovinezza, e non una chiavetta usb, ad esempio.

In ogni caso, tornando alla lettera, non credo sia necessario dire l’emozione nel sapere della lettera arrivata… Un’emozione che sicuramente appartiene al secolo scorso, ma che ha ancora tanto da trasmettere. Dentro ci ho messo un paio di pagine scritte, qualche foto e tutto l’affetto che non posso dare in questi giorni.

Forse questa quarantena aiuta anche a sviluppare nuove idee, a riflettere su se stessi e sugli altri.

Io sono giunta alla conclusione che non si può stare soli. Forse può sembrare banale, ma non ci sono molte occasioni per pensarci davvero, raramente capitano situazioni come questa, e ovviamente è un bene, ma è dalle situazioni difficili e dolorose che si impara di più, credo, quindi, che sia un insegnamento per tutti.

Come ho già scritto, ho patito molto questa situazione inizialmente, non che ora mi diverta, ma ho capito che disperarsi non porterà a nessuna conclusione, così mi sono esercitata a trovare qualcosa da fare, come dipingere dei girasoli sulle ante della finestra, imparare qualcosa di nuovo alla chitarra e migliorare, dato che sono agli inizi, e anche pitturare una vecchia cassettiera….tutt belle sensazioni.

Quando ero alla finestra a dipingere fiori con la musica ed il sole che tramontava dietro le montagne illuminandomi, ho sentito come un soffio di vento che ha risvegliato quel qualcosa che pareva essere morto in me e che prima mi trascinava sempre a letto a non far nulla…. Oltre al sentirmi libera ho anche riflettuto su quanto dobbiamo essere grati ai medici, agli infermieri e a tutti coloro che stanno rischiando per salvare il maggior numero possibile di persone. A volte mi sento in imbarazzo a lamentarmi per quel che mi fa stare male, se penso a cosa passano, invece, certe persone; però sostengo anche che la percezione di un problema è personale e dipende da persona a persona, perciò non credo sia sbagliato preoccuparsi per ciò che considero faccia soffrire me, come il sentire le mura di questa casa, a volte, così strette intorno a me.

Non so cosa cambierà a livello umano dopo il passaggio di questo virus, so che l’economia sarà danneggiata e che prima di tornare alla normalità ci vorrà del tempo, e non so se tra le persone ci sarà più affetto o più odio, o magari semplice indifferenza. Tanti accusano qualcuno di avere una qualche colpa, per una uscita, per non mantenere il metro di distanza da qualcuno;  personalmente, non vedo il senso dell’odiare, della rabbia,ormai ciò che è successo è successo e non si può cambiare sicuramente accusando gli altri, a volte in modo anche ingiustificato.

Posso dire, per quel che mi riguarda, che sarò più affettuosa con le persone a cui tengo, perché le ho sempre avute accanto, non dando troppo peso a quell’abbraccio dato ad una mia amica o al cinque che ho battuto a quell’altro mio amico, ma ora che non ho le persone accanto, posso accorgermi di quanto fossero importanti, perché tanto è sempre così: non si è grati per ciò che si ha finché non lo si ha più, è allora che ti accorgi di quanto valore avesse.

E allora mi piace pensare di aver imparato qualcosa e di ricominciare ad uscire sapendo dare più valore a quei gesti che, pur se piccoli, insieme riempiono le nostre vite…e….comunque…aspetto le vostre lettere…

Sono…

SARA BASSI  della 

2 K  Liceo Linguistico dell’IIS Majorana di MoncalieriLettera

 

 

Essere insieme e LIBERI a Palermo

Il giorno 4 febbraio 2019, noi  studenti delle classi: 3B e 3C dell’IIS Majorana di Moncalieri sezione tecnico-economica ci siamo recati a Palermo per svolgere un percorso educativo sulla legalità e sull’antimafia. Questo percorso è stato possibile anche grazie alla collaborazione con  Libera il Giusto di Viaggiare, Libera Terra per i beni confiscati alle mafie, che ci ha fatto conoscere ed apprezzare la professionalità e la serietà di Gabriele e Aurora.

La nostra scuola è presidio di Libera, quindi  il nostro Istituto promuove le iniziative di Libera; inoltre l’Auditorium della sezione liceale è dedicato proprio a Peppino Impastato.

L’obiettivo di questo percorso di formazione è stato quello di sensibilizzare noi studenti sull’ambito mafioso nato in Sicilia e, ad oggi, presente in tutto il territorio nazionale.

Inoltre l’obiettivo di Gabriele e Aurora è stato quello di spiegarci e farci capire ciò che fa Libera, quindi loro e i loro colleghi, tutti i giorni ; per esempio con l’uso dei beni confiscati alla mafia dallo Stato, infatti è stata propria l’Associazione Libera ad aver combattuto per la stipulazione della Legge del 96 per il riutilizzo di questi beni.

Abbiamo anche conosciuto la Cooperativa “Cotti in flagranza” che si occupa di dare una formazione e un lavoro ai ragazzi che si trovano in stato di detenzione.

Oltre a ciò, in questo viaggio abbiamo anche esplorato ed ammirato alcune delle meraviglie artistiche dell’isola, come la cattedrale di Palermo, la Cappella Palatina e Monreale con la preziosa guida  di Gino , detto simpaticamente Giacco!

Non sono mancati ovviamente i momenti del gusto con le molte prelibatezze gastronomiche locali… come dimenticare il tentativo di mangiare i cannoli siciliani a Portella della Ginestra, tra il vento gelido e la neve?

Ed ancora abbiamo vissuto l’esperienza di perderci nei  paradisi naturali della Riserva dello Zingaro.

Un viaggio, certo, di conoscenza è stato, di consapevolezza , di immersione nella complessità e nella ricchezza palermitana, ma, soprattutto, è stato e resterà un viaggio del cuore e di speranza.

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Andrea Arrigo

Yassine El Hilali

3B AFM

Bellezze di Palermo e dintorni

Durante l’esperienza vissuta a Palermo, non abbiamo solo trattato temi sociali riguardanti la mafia, ma abbiamo avuto l’occasione di visitare luoghi caratteristici della Sicilia. Come, ad esempio, la Riserva Naturale dello Zingaro, la Cappella Palatina, la cattedrale di Palermo e di Monreale, di cui vi parleremo di seguito.

 

LA RISERVA NATURALE DELLO ZINGARO

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Qui, ci troviamo immersi nella costa dello Zingaro, in Sicilia, che con la legge regionale 98/81 viene ufficialmente istituita Riserva Naturale Orientata “Zingaro”.  Ricordiamo che, una volta arrivati, siamo stati travolti da colori e profumi che ci hanno accompagnato per tutto il percorso regalandoci sensazioni uniche. Grazie alla nostra guida, Gabriele, abbiamo scoperto e conosciuto alcune piante che caratterizzano questo posto come ad esempio la Palma Nana che raggiunge normalmente altezze sino a 2 metri e le foglie sono large, robuste e a ventaglio. I suoi fiori sono di colore giallo, con peduncoli brevi. Un’altra pianta importante, che immaginiamo ancora di ammirare avendola trovata lungo il nostro cammino, è la Ginestra, pianta con un’antica origine E’, infatti, impiegata fin dall’ antichità come pianta da fibra.

 

LA CAPPELLA PALATINA

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La cappella Palatina si trova all’interno del Palazzo dei Normanni, costruito nella paleopoli, la parte più alta e antica della città. La Cappella Palatina, che significa cappella del Palazzo, fu voluta da Ruggero II d’Altavilla, primo re normanno di Sicilia e fu utilizzata da quest’ultimo come cappella privata nel 1130.
Un tempo il suo aspetto esteriore era totalmente diverso. Della sua facciata originaria non è rimasto quasi nulla perché inglobata da altre strutture più recenti. Originariamente sorgeva isolata, l’abside era rivolta ad oriente come vuole la tradizione bizantina. Interessante è l’immagine che illustra la separazione della terra dal mare. Il globo terrestre è una sfera d’acqua con al centro tre parti di terra che rappresentano i tre continenti allora conosciuti: Europa, Africa e Asia, divise da strisce di mare che formano una Y, simbolo della Trinità . Si osserva anche la scena della creazione di Adamo: si vede una grande rassomiglianza tra il volto di Dio e quello di Adamo sottolineata dalla frase in latino: creavit ominem at imaginem sua.

Unico al mondo e di notevole importanza e pregio è il soffitto. Trattasi di un soffitto fatimita a muquarnas che significa stalattiti o alveoli.

 

CATTEDRALE DI PALERMO

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La Madre di tutte le Chiese è la Cattedrale di Palermo, l’edificio più caratteristico della città. Venne eretta nel 1184 dall’Arcivescovo Gualtiero Offamilio, sul luogo di una precedente basilica, trasformata dagli Arabi in moschea e restituita dai Normanni nuovamente al culto cristiano. Deve la sua maestosità alla presenza delle sue linee architettoniche e alla splendida facciata su cui ergono due campanili ornati da motivi scultorei di elevato valore. In primo piano c’è la Piazza della Cattedrale, ridefinita nel XV secolo ad opera dell’Arcivescovo Simone di Bologna, che fu successivamente recintata e adornata con alcune statue, tra cui al centro il simulacro in marmo di S. Rosalia. La struttura della cattedrale è fiancheggiata da quattro torri d’epoca normanna ed è sovrastata da una cupola. A sinistra si nota il collegamento con il Palazzo Arcivescovile dato da due grandi arcate ogivali, su cui s’innalza la torre campanaria. La facciata principale presenta un aspetto gotico, derivato dalla presenza delle torri bifore, dalle colonnine e dalle merlature ad archetti che corrono lungo tutto il fianco destro della costruzione. Il portale d’ingresso è opera magnifica di Antonio Gambara, eseguita nel 1426, mentre i meravigliosi battenti lignei sono del Miranda (1432).

Consigliamo a tutti voi lettori di visitare questa magnifica città. Ogni angolo di Palermo conquista, regalando emozioni e sensazioni uniche. E’ una città ricca di colori, profumi, arte e tradizioni che travolgono in ogni istante e in ogni dove. In questo fantastico viaggio abbiamo imparato ad apprezzare le piccole cose che la città riserva ma, non solo, abbiamo anche imparato a smettere di associare la parola “Mafia” ad una terra caratterizzata da molto altro. Che dire, è stata un’esperienza unica!

Aurora De Pasquale

Veronica Venera

Alessia La Corte

3B AFM

 

 

 

Francesco: un uomo spirituale dai tanti valori umani

Un giorno come tanti del 1181 nacque colui che abbandonò tutti i suoi averi per intraprendere una nuova vita, fatta di Vangelo, di aiuto e condivisione, fatta di sola povertà ma di ricchezza spirituale e di forza interiore.

E chi in questo momento o in qualsiasi altro tempo sarebbe capace di farlo?

Oggi come oggi è difficile trovare una persona che abbia la volontà di fare ciò che ha fatto Francesco, in quanto è molto complicato non seguire la mentalità corrente, la tradizione, la famiglia, le sicurezze materiali, le comodità, e tutto ciò che la società può offrire.

Nei tempi odierni si punta ad avere sempre più beni materiali di quanti già se ne possiede, tralasciando o trascurando il sentimento dell’amore, della fraternità, dell’uguaglianza e della libertà che apparentemente possono dare le sicurezze economiche.

Ma come ha vissuto Francesco e qual è la ragione per la quale ha intrapreso questo percorso?

Egli nasce ad Assisi nel 1182, da una famiglia ricca il cui padre di professione svolgeva il mercante di stoffe.

In gioventù vive in modo dissipato, divertendosi e sperperando i soldi della famiglia, sino a quando scoppia una guerra tra Perugia ed Assisi, alla quale Francesco partecipa.

Questa esperienza modifica la sua esistenza, in quanto egli abbandona i divertimenti e inizia a dare un senso profondo alla vita aiutando i poveri, gli ammalati e si prende cura dei bambini orfani.

Francesco considera tutte le persone suoi familiari, creature di Dio e questo lo si può notare nella sua poesia più famosa  “Il cantico delle creature”.

Egli, attraverso un percorso di ricerca personale e anche dolorosa,  fonda l’ordine francescano che, in seguito, si dividerà in due:  molti faranno parte dei frati spirituali, mentre altri dei frati conventuali.

La sua vita termina presso la chiesa di Santa Maria degli Angeli ad Assisi il 3 ottobre del 1226.

Quello con Francesco è stato sicuramente un incontro importante per noi, studenti di terza superiore; potremmo dire che ancora oggi resta una figura che richiede ad ognuno di riflettere, di pensare, di mettersi in crisi e riformulare la propria vita anche attraverso lo spirito.

Giorgia Boscolo

Giorgia Nola 

 Classe 3 B A.F.M.

 

IL POTERE DEGLI OLI ESSENZIALI

Sono sempre stata un’amante della natura. Dapprima il mio amore si manifestava inconsapevolmente quando da ragazzina mi incantavo a guardare le nuvole.
Mi affascinavano le piante: non riuscivo a comprendere il perché la natura si ostinasse tutti gli anni, a fine inverno, a risvegliarsi…. la rinascita dopo una morte apparente. Ma, in fondo, a tutte le morti segue una rinascita.
L’ho compreso lentamente nel tempo e, con il passare degli anni, ho escogitato delle strategie per essere circondata il più possibile dalla natura, anche quando sono chiusa in una stanza: ho sempre con me fazzoletti di carta umettati con qualche goccia di olio essenziale.
Adoro il basilico esotico, il dragoncello, la menta, l’arancio e la lavanda: una sorta di giardino dei semplici versione piccolissima, da tenere comodamente in tasca o da indossare.
Anche il mio lavoro è perfettamente in tinta con i colori della natura: faccio l’insegnante. Sono circondata da tanti esemplari di Homo Sapiens Sapiens in divenire. I miei allievi e le mie allieve sono la somma di milioni di anni di evoluzione del vivente e, come le piante, fioriscono a dispetto di tutto e di tutti.
Certo, non mi viene da pensare la stessa cosa quando, entrando in una classe, mi sembra di entrare in una scena del cartone animato “Madagascar’….. ma ho scoperto che anche i miei piccoli Sapiens sono sensibili agli oli essenziali.
Come un’etologa alle prime armi, sperimentai il potere dell’olio essenziale di lavanda nelle verifiche somministrate alle classi.
Usai quasi un metodo scientifico (ispirandomi alla materia da me insegnata!), notando che i/le miei/e allievi/e si mostravano più tranquilli quando io “indossavo” un fazzoletto intriso di olio essenziale di lavanda.
Un giorno un allievo mi chiese chiarimenti su un argomento da me spiegato. Io non amo pontificare spiegazioni stando ferma alla cattedra, bensì mi avvicino sempre al mio interlocutore. Amo la comunicazione in tutte le Oli2sue manifestazioni, anche le più bizzarre e riesco ad avvicinarmi all’imperscrutabile mondo di un essere vivente solo se gli vado incontro, anche con il mio corpo.

Così fu anche quella volta.
Mentre cercavo il modo più semplice per rispondere alla domanda, il mio allievo esordì con un: “Che bel profumo che ha prof!!! Sembra menta”. Era andato vicino: si trattava di basilico, uno dei miei preferiti.
Quella non fu l’unica volta che me lo disse. Forse la mia spiegazione era così noiosa, da considerare interessante qualunque altra cosa!!!
E fu così che un giorno gli regalai il mio fazzoletto di carta umettato con alcune gocce di olio essenziale di basilico. Come mi scrisse in una lettera ,consegnatami alcuni giorni dopo, quel fazzoletto l’avrebbe tenuto con se per sempre, anche dopo la perdita del suo profumo; ma ahimè! Suo padre, con un gesto naturale, ma inconsapevole del valore che quel fazzoletto aveva, glielo gettò via, dopo averlo usato.
In fondo è così: mi è sembrata una metafora di alcuni accadimenti della vita. Ho pensato a tutte le volte in cui io ho usato impropriamente degli oggetti, senza comprenderne il valore. Chissà quante volte ho calpestato delle altrui emozioni, solo perchè non le vedevo. Ma questa è un’altra storia….
Nella lettera regalatami dal mio allievo era racchiuso il reale motivo per cui, anni addietro, decisi di fare l’insegnante lasciando la strada di ricercatore universitario che avevo intrapreso. In quella lettera c’erano tutti gli arretrati non percepiti, gli scatti di anzianità mai visti per cavilli burocratico-legali e tutti i contratti nazionali non rinnovati. In quella lettera c’era la vita. Quella vera, fatta di tutto.

Una prof…

ROMANZO A PUNTATE: THE LOST BONES – Capitolo 4 “L’inferno in terra”

Cambiai la posizione ai fogli. Adesso il labirinto e la scuola coincidevano in un solo punto, lo spogliatoio femminile.

Ci guardammo, e sapevo che tutti volevamo la stessa cosa. -Chi viene con me?- saltellai elettrizzata. -Io!- risposero in coro. Senza farci vedere dalla bidella, ci dirigemmo verso le scale scendendo al piano seminterrato. Entrammo nello spogliatoio. -Da dove iniziamo e, soprattutto, cosa dovremmo cercare?- si guardò intorno Olivia. -Dividiamoci, è la cosa migliore- suggerì Hope. Ognuno di noi iniziò a cercare in giro. Entrai nel bagno, che non veniva ristrutturato da una vita, iniziando ad esaminarlo. Era molto basso, con un piccolo corridoio stretto e tre porte. Dietro ad esse vi erano le rispettive turche. Non voglio neanche commentarle. Iniziai a tastare le piastrelle, nel tentativo di far attivare qualche strano meccanismo. Aprii l’ultima porta. Passai la mano sulle piastrelle, ma nulla. Guardai la parete dietro la turca. La sua sola vista mi provocò la nausea, ma superai la turca. Continuai a tastare. Sentivo la speranza scivolarmi via. Forse era solo frutto della nostra immaginazione. Forse ci stavamo aggrappando a delle inutili fantasie. Stavo per mollare, per abbandonare quelle fantasie, ma appena toccai l’ultima mattonella capii che, forse, quelle fantasie erano più reali di quanto credevamo. Essa si mosse all’istante. Un rumore assordante invase lo spogliatoio. Accorremmo tutti nel piccolo corridoio del bagno. La parete in fondo ad esso si stava aprendo. Un tunnel buio si estendeva davanti a noi. Quelle scale non promettevano nulla di buono… -Sono delle normalissime scale che sembrano condurre all’inferno, che abbiamo da temere?- commentò sarcastico Giosuè. Guardavo quelle scale pensierosa. Qualcosa mi diceva di scendere, ma non sapevo il perché. Accesi la torcia del telefono iniziando ad addentrarmi nella più totale oscurità. Sentii prendermi la mano, era Francesca. -Non andrai da sola- la strinse. Scostai un po’ la testa e notai che anche gli altri la stavano seguendo. Erano gli amici migliori che potessi avere. Tenendo salda la mano di Francesca, iniziai a condurli verso quello che sembrava l’inferno in terra. L’odore che invase le nostre narici fu simile a quello di una fogna, odore di discarica e di chiuso… mischiati tra loro. Per evitare di ritrovarmi come Voldemort, decisi di coprirmi il naso con la maglietta e limitare i danni.
Non so per quanto tempo scendemmo, ma sembrò un’eternità. La scala terminava in un corridoio che si estendeva da destra a sinistra. -Guardate un pulsante- esclamò Michael con l’entusiasmo di un bambino. Non feci in tempo a dirgli di non toccare che si sentì il “clik”. Quando mi voltai, lui era con l’indice teso a mezz’aria. Feci per rimproverarlo, ma iniziarono ad accedersi delle luci, rivelandoci le uniche due vie che avevamo a disposizione. -E ora? Da che parte andiamo?- domandò Olivia. -Io propongo di dividerci- suggerì Michael. Noi ci voltammo a guardarlo. -Scusa amico i film horror non ti hanno insegnato nulla?- aggrottai la fronte. -Giusto- si grattò la nuca imbarazzato. -Io direi a destra- suggerì Hope. Seguendo il suo consiglio, iniziammo ad addentraci in quel sudicio corridoio. Il nostro cammino fu interrotto da una porta. -Eccoci alla fine- la illuminai. Con il tempo, il ferro si era arrugginito, inoltre la maniglia era ricoperta da uno strato di muffa centenario. -Non mi fido a toccarla- commentò Francesca. Giosuè si fece avanti. -State indietro-. Lentamente indietreggiammo. Lui tirò un potente calcio facendola piegare. Le nostre bocche si piegarono formando una “O”. Ne tirò un altro e quella si aprì. Olivia fu quella più sorpresa. -Da quando hai questi super poteri?-. Giosuè mi guardò per un istante, ma poi distolse subito lo sguardo. -Sarà stata l’adrenalina del momento- rispose con tono piatto. No caro Giosuè, non era l’adrenalina, c’era sotto qualcos’altro. -Fermi tutti, avete sentito?- ci zittì Hope. Ci voltammo verso il corridoio, qualcuno stava correndo nella nostra direzione.
-Nascondiamoci!- esclamai a bassa voce e ci fiondammo oltre la porta, iniziando a correre. Nella fretta, non riuscii a scorgere molti dettagli; una cosa era certa, quella stanza era grande, ma, purtroppo per noi, non era infinita. Vidi un letto e mi ci nascosi sotto, stessa cosa fecero Francesca e Michael, ma con quello davanti a me. Olivia si nascose in un armadietto, mentre Hope trovò rifugio sotto un tavolo. L’unico rimasto scoperto era Giosuè. -Giò, qua sotto- sventolai la mano. Poco prima che l’individuo entrasse, lui si mise a fianco a me. Sentii i passi risuonare nella stanza. L’unica cosa che ci permetteva di avere visibilità era la luce che arrivava dal corridoio. Davanti a me si mostrarono due anfibi neri e l’orlo di un cappotto del medesimo colore. Il mio respirò si arrestò. Lui, o forse lei, fece un piccolo giro, dopo di che uscì portandosi dietro la porta lasciandoci al buio. Pochi istanti dopo sentimmo il suono di qualcosa che veniva trascinato, poi il silenzio… Giosuè accese la torcia del telefono. -Via libera- sgattaiolò fuori. Una volta che le altre torce furono accese, Hope andò verso la porta. -Okay, io direi di andarcene all’istante- rise nervoso Michael. -Mik… ho una brutta notizia…- sospirò Hope. -Non dirmi che…-. -… siamo chiusi dentro-.

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In quale luogo sono capitati i nostri sei ragazzi?
Chi era la persona che li ha intrappolati?
Ma, soprattutto,… come faranno ad uscire?
Scopritelo nel prossimo capitolo: “Trappola per topi”.

Elisa Battista

(ex 5 C, ormai studentessa universitaria)