Gabriele d’Annunzio, l’esteta visionario – Parte prima: L’impresa di Fiume –

L’avventura fiumana fu un’epopea politica ed esistenziale partorita dalla mente geniale di uno degli uomini più influenti del tempo, nonché rappresentante della cultura di una nazione intera (in quell’ epoca): il poeta Vate Gabriele d’Annunzio.

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Foto di Gabriele d’Annunzio con dedica a Cornelio Guerci

La storia di Fiume si presenta come un “unicum”, una città vivace e multiculturale, che vantava una economia piuttosto solida e fiorente e che rappresentava un importante sbocco portuale. Le condizioni economiche della città, però, furono messe a dura prova a seguito del conflitto mondiale, come ci viene spiegato nel documento filmico “La storia siamo Noi” di Giovanni Minoli. Giuseppe Parlato (storico), Marino Micich e  Roberto Palisca (che, appartenendo alla comunità italiana di Fiume, parla della sua esperienza personale e familiare) danno un quadro generale di quel particolare momento storico. Egli era, infatti, un uomo dalle mille virtù letterarie e sfaccettature: era condottiero, pioniere dell’aviazione e dell’automobilismo, ma anche poeta, romanziere ed esteta, amante passionale e nazionalista belligerante. Racchiudeva in sé tutte le caratteristiche di un “superuomo”.  Grazie allo scenario costituito dal conflitto mondiale, il poeta Vate, che si era affermato come figura di spicco anche in ambito militare, a seguito delle conseguenze della stipula del Patto di Londra  (Aprile 1915  patto segreto tra Francia Inghilterra e Russia), si trovò a fronteggiare la nuova questione fiumana che vedeva l’impossibilità per Italia di annettere la città di Fiume al proprio territorio. Nonostante le successive richieste avanzate durante la Pace di Versailles, la conferma definitiva che la città non sarebbe diventata italiana, spingerà il Vate a porre rimedio a quella che lui definì  una “Vittoria Mutilata”.

La popolazione fiumana si sentiva italiana e desiderava fortemente l’annessione ai nostri territori. Il rifiuto imposto dalla Pace di Versailles fomentò, in Italia, irredentisti e nazionalisti che erano a favore di un intervento militare per l’annessione. I fiumani, quindi, trovarono il possibile fautore dell’impresa nella figura di d’Annunzio che, dopo un primo diniego, accettò. Egli prese il comando di ribelli ex combattenti e granatieri  che appoggiarono l’impresa e costituirono l’armata dei legionari. Questi, capitanati da d’Annunzio, con un plateale gesto di disobbedienza all’ ordinamento , partirono per occupare con la forza la città jugoslava. Il Vate compì l’impresa il 12 settembre 1919  senza incontrare ostacoli. Ebbe così inizio il periodo della Reggenza.

D’Annunzio rappresentava, in quel preciso contesto, un uomo d’azione “purissimo” ma pur sempre permeato dal misticismo e dal prestigio, a dimostrazione del fatto che, per lui,  la lotta di ideali fu altresì importante, ma l’elevazione della sua figura di factotum, che esaltava l’eroicità delle sue imprese, era all’ apice del pensiero e del comportamento estetizzante. Perviene, comunque e sempre, il risvolto letterario dal  suo operato. Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale, è un gran conoscitore del poeta, dalle cui descrizioni è percepibile la stima che il cultore serba nei confronti dell’uomo, probabilmente proprio grazie allo studio, ad un livello più profondo, di quegli spazi che d’Annunzio adibiva al culto del bello e che ci lasciano un segno tangibile del suo passaggio trionfale .

 

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Immagine ritraente d’Annunzio circondato dal corpo degli Arditi

Il fascismo fece propri  i metodi propagandistici utilizzati da d’Annunzio (preludio al fascismo) senza mai, però, raggiungere l’intesa ed il rispetto reciproco. D’annunzio non fu mai intimamente fascista, secondo Giordano Bruno Guerri, e i rapporti che intercorsero tra le parti furono puramente strumentali  e legati prevalentemente da interessi mediatici.  “D’Annunzio era da considerarsi politicamente al di sopra della destra, della sinistra e del centro”(cit. Mimmo Franzinelli). Guerri e Franzinelli offrono opinioni concordanti in merito alla posizione anarchica e super partes del Vate rispetto agli orientamenti politici, sia entrando in aperto conflitto con alcuni di essi  che intrattenendo rapporti con altri. E’ di comune accodo tra i due cultori  la visione distaccata del personaggio rispetto a tutte quelle forme di burocrazia volte all’ indottrinamento del “grigio diluvio democratico” di cui il poeta non voleva e non sentiva di farne parte. Mentre il poeta- Vate per la sinistra era considerato un fanatico guerrafondaio,  egli, per i suoi seguaci, racchiudeva in sé la volontà di contrastare la società delle nazioni mediante la creazione di una lega per la liberazione dei popoli oppressi della terra. Questa, aveva come obiettivo il rovesciamento dell’intero sistema dei valori della vecchia Europa.  Come già accennato, mossi da questi ideali, approdarono a Fiume, al suo servizio, masse di rivoltosi e avventurieri di ogni sorta: eroi, disperati, uomini di cultura, sindacalisti, personaggi come gli Arditi, i reduci che non si  riuscivano più ad integrare nella vita normale e “volevano continuare a compiere imprese… giovani sradicati che non riuscivano a tornare in un discorso di normalità …”(cit. Mimmo Franzinelli). Dallo storico si percepisce una descrizione più critica e distaccata in merito agli avvenimenti ed alle personalità protagoniste della svolta. Infatti definisce i Legionari “degli spostati” e ne definisce lo stile di vita come quasi animalesco (come nel caso di Keller, per via delle abitudini primitive e bizzarre che quest’ultimo aveva).

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Ritratto di Guido Keller

Tutti erano affascinati da questo piccolo staterello dove, come criterio di scelta esistenziale, si perseguiva il piacere e si assecondava il desiderio in tutte le sue forme, con totale assenza di moralismo, fino a diventare perdizione; dove si faceva uso di droghe per migliorare le prestazioni sotto molteplici aspetti e  rappresentava un avamposto di rivoluzione globale. La vita era concepita come una serie di attimi fuggenti. Tra le figure più carismatiche presenti a Fiume  ci furono Giovanni Comisso, Henry Furst, e Guido Keller. Quest’ultimo in particolare fu un personaggio auto-rappresentativo, estremamente precorritore dei tempi, spericolato, intrepido,  bizzarro, praticante dell’amore libero, naturista, “figura apollinea” secondo l’ideale greco e pagano,  come lo descrive lo scrittore Nico Naldini. Egli interviene in merito all’ analisi delle figure più rappresentative di quei battaglioni di rivoltosi (Legionari) pronti e disposti a fare la rivoluzione, personaggi singolari, personalità mutevoli, lungimiranti e visionarie; giovani menti geniali secondo le parole da lui stesso usate per descriverli. Altre figure rappresentative che parteciparono con il Vate al progetto di Fiume ci furono il futurista Marinetti, Arturo Toscanini, il quale si portò perfino l’orchestra della Scala per un concerto. In questo contesto nacque il progetto rivoluzionario più rappresentativo e di imbarazzo storiografico: la Carta del Carnaro.  Essa, di assoluta avanguardia, serviva a dare forma politica all’ esperimento dannunziano, redigendo un nuovo ordinamento derivato dalla commistione delle sensibilità di d’Annunzio  di De Ambris.

La Carta era un decalogo in cui spiccavano, tra i vari punti, la musica come istituzione religiosa e civile, il potere decentrato, l’abolizione  del denaro, l’abolizione carceri, l’istituzione del libero amore, l’abolizione del celibato per i preti, il ritorno alla pastorizia e alla coltivazione della terra, la parità dei sessi (voto alle donne, divorzio, parità di stipendi).

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Costituzione fiumana del Carnaro

La figura femminile fu completamente rivisitata, secondo quanto espresso dalla Carta del Carnaro. Non a caso l’esperienza di Fiume contribuì in parte alla nascita del femminismo. Singolare, infatti, fu l’apparizione della prima donna graduata, ruolo inedito a quel tempo, che fu ricoperto dall’ ex crocerossina torinese Margherita Incisa di Camerana. Molte donne erano affascinate da questa realtà in cui, per la prima volta, godevano di pari diritti e partecipavano attivamente ed entusiasticamente a questa travolgente avventura. La donna, per d’Annunzio, doveva assumere un ruolo centrale, e così fu. Egli, infatti, fu da sempre un amante passionale, ritratto in una moltitudine di relazioni extra coniugali, che proseguirono anche a Fiume. La scrittrice Antonella Sbuelz nel parlarcene, pare affascinata dall’ incredibile capacità visionaria di d’Annunzio e dalla sua alta considerazione della donna e dalla notorietà che avevano riscosso le libertà garantite dalla Costituzione fiumana. Per d’Annunzio, la figura femminile rappresentava, nell’ ottica del Piacere come istituzione, la possibilità di raggiungere una dimensione di bellezza ed arricchimento della propria sensibilità ed intelletto, nell’ unione dei sessi, volta a trarre i massimi benefici da ogni relazione. In funzione di quanto evidenziato poc’ anzi, egli cercò di introiettare la sensibilità femminile, in quanto elemento imprescindibile di bellezza spirituale e sostanziale. Per d’Annunzio la donna era, quindi, un’opulenza irrinunciabile, secondo il suo carattere passionale, ma era soprattutto figura indispensabile alla concretizzazione dell’ideale di sacralità del gentil sesso, in grado di arrivare  laddove l’uomo non è in grado e percependo diverse sfumature di una realtà che più si confà alla massima espressione di bellezza e purezza.

 

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Foto di D’Annunzio e Margherita Incisa di Camerana

In Italia, intanto, saliva al potere Francesco Saverio Nitti, che fu l’esempio più importante dell’epoca dell’antitesi tra la reggenza dannunziana e della volontà decisionale del governo in patria. Infatti in seguito a questi dissidi si pose in atto l’assedio economico della città di Fiume con cui il Regno d’Italia emarginò la città e rifiutò di supportare l’impresa di d’Annunzio. La città, già in grande difficoltà, fu  preda di una irreversibile crisi economica innescata proprio da questo assedio. Come ultimo atto, nel dicembre del 1920,  Giovanni Giolitti diede un ultimatum alla reggenza del Carnaro  al termine del quale segui l’attacco “manu miliari” della flotta regia nei confronti del Palazzo del Pomeriggio, residenza di d’Annunzio e sede del governo di Fiume, con il chiaro intento di attentare alla sua vita. Di fronte a questo episodio al Vate, dopo il Natale di sangue, non restò che arrendersi.

 

Non perdetevi la prossima parte dell’articolo dedicata alla visita al Vittoriale. A presto!

 

Giorgio Rivetti Giribaldi    5°A RIM