ROMANZO A PUNTATE: THE LOST BONES – Capitolo 5 “Trappola per topi”

 

-Come siamo chiusi qua dentro?- esclamai. -La porta non si apre più, è bloccata dall’esterno- sospirò Hope. Francesca prese il braccio di Michael evidentemente impaurita. -Moriremo qui dentro?- tremò lei. -Ehi, nessuno morirà qui dentro! Così come vi ho fatti entrare vi farò uscire- mi diressi verso la porta cercando di aprirla. Era troppo pesante. -Zoe non insistere vediamo se c’è un’altra via d’uscita- disse Hope afferrandomi il braccio. Sospirai frustrata e avanzai all’interno della stanza. Grazie alla poca luce che emettevano i nostri telefoni riuscii ad intravedere i letti alla mia destra e alla mia sinistra. Avanzai nel corridoio in mezzo ad essi contandone dieci, cinque per lato. In fondo alla stanza notai degli armadi e una libreria. Gli altri iniziarono a setacciare la stanza. Aprii un armadio trovandoci dentro medicinali ricoperti di secoli di polvere, sospirai rassegnata e passai al prossimo trovandoci le medesime cose.

Nel terzo, invece, trovai molti giornali, sempre molto impolverati. Ne afferrai uno scuotendolo un po’ in modo da rimuovere la polvere e riuscirne a leggere il contenuto. Dopo aver tossito un paio di volte, analizzai la prima pagina. Notizie di cronaca e politica dominavano l’intera pagina; inoltre era riportato l’anno, 1987. Un urlo alle mie spalle mi fece volare il giornale dallo spavento. -Un ragno!- esclamò Michael. Mi battei la mano sulla fronte pensando alla virilità andata chissà dove. Appena vide l’espressione corrucciata di Francesca, si ricompose e si schiarì la gola. -Attenti c’è un ragno, era un modo per avvisarvi ecco- si passò la mano tra i capelli. Lei inclinò la testa di lato, non del tutto convinta. -Mik aiutami qui- lo afferrai per il braccio trascinandolo via da quella situazione imbarazzante. -Aiutami a spostare i letti- glieli indicai. Iniziammo a spostare qualche letto. -Grazie Zoe- sussurrò lui. -Figurati, se vuoi ti aiuto a rimediare- sorrisi. -Sì grazie, ne ho bisogno- ridacchiò.

Passammo un’ora a rovistare, ma senza successo. Ci sedemmo sfiniti a terra. -Tra mezzora la vicepreside verrà a vedere la situazione, e se non ci trova ci ammazzerà- sospirai appoggiandomi al muro. -Già, se non ci sbrighiamo è la volta buona che ci sospende- borbottò Olivia. -Merda- esclami. Il mio telefono si spense. -Moriremo qui dentro- piagnucolò Michael salutando così gli ultimi rimasugli della sua virilità. Hope si avvicinò a lui. -Calma Mik troveremo una soluzione- gli mise una mano sulla spalla. L’unico che non si era ancora pronunciato sulla situazione era Giosuè. Se ne stava in disparte a rimuginare. -Riprendiamo le ricerche- suggerì Francesca. -Non dobbiamo abbatterci-. Non ascoltai molto il resto del discorso ero impegnata a capire cosa gli passasse per la testa a quel ragazzo. Nella fioca luce emessa dalla sua torcia, intravedevo la fronte corrucciata e il dito che batteva sul suo mento. Si riavvicinò nuovamente alla libreria. Mi alzai e lo raggiunsi. -Tutto bene?- chiesi. Lui annuii con la testa. -E solo che c’è qualcosa di familiare in questa libreria-. Puntò la luce su di essa. In effetti non ci avevamo dato molto peso dato che conteneva solo libri. -Ma certo!- esclamò facendomi sobbalzare. -E’ uguale a una di quelle che c’è nella biblioteca della scuola-. Mi voltai verso gli altri. -Presto buttiamo giù tutti i libri!-. Loro accorsero e iniziammo a tirarli giù.

Ai nostri piedi c’erano pile di libri, mentre di fronte a noi ne rimaneva solo uno. Giosuè si avvicino e fece per prenderlo, ma esso si rivelò tutt’altro che un libro. Di colpo la libreria di fronte a noi iniziò a spostarsi verso destra con un movimento stridulo. Di istinto ci tappammo le orecchie in attesa che quel rumore cessasse. Appena si arrestò Hope si battè la mano sulla fronte. -Raga è il trucco più vecchio del mondo, come abbiamo fatto a non pensarci?-. Scoppiò una risata generale. -Ora sbrighiamoci prima che la vicepreside diventi Hulk-. Gli altri iniziarono ad avviarsi su per le scale. Prima di seguirli raccolsi il giornale che Michael mi aveva fatto volare prima. Sono sicura che leggendolo capiremo qualcosa. -Vieni Zoe o resterai al buio- mi prese la mano Hope.

Quell’infinita scalinata terminò davanti ad un’altra libreria identica a quella precedente. Giosuè tirò il medesimo libro ed essa cigolò leggermente. Con una piccola spinta si aprì e ci ritrovammo nuovamente nella biblioteca. -Zoe è stata inseguita da un pazzo per prendere la mappa quando bastava tirare una leva a forma di libro?- ironizzò Hope. Feci spallucce. -E’ una cosa che capita tutti i giorni, sono abituata- le feci l’occhiolino ridendo. -Almeno ora sappiamo come scappare- puntualizzò Francesca. I due uomini del gruppo richiusero la libreria. -Che ci fa qui questo passaggio? Che senso ha avere più entrate per quel posto?- domandò Olivia. Mostrai il giornale. -Forse questo ci aiuterà-. Lo misi sul tavolo. Prima che potessi riaprirlo fui interrotta nuovamente, ma questa volta da un suono molto familiare, i tacchi della vicepreside. Misi velocemente il giornale nello zaino. Nel giro di pochi minuti varcò la soglia della stanza. Si guardò intorno. -Ottimo lavoro ragazzi, ora potete andare-.

Una volta usciti dalla scuola e percorso il sentiero salutai gli altri. -Appuntamento al solito bar domani?- li guardai. Loro annuirono. Ognuno andò per la propria strada.

Mi incamminai verso la fermata del pullman con la musica nelle orecchie, ripensando all’esperienza che avevamo appena vissuto. Cos’era quel posto? Perché qualcuno voleva chiuderci in quel posto?

Con mille domande che affollavano la mia mente salii sul pullman. Mi accomodai all’ultimo posto vicino alla finestra appoggiandomi a essa. Appena il mio sguardo si rivolse all’esterno, notai dall’altra parte della strada, una figura che indossava un cappotto nero lungo, con il volto coperto da un cappello rovinato con la visiera. Alzò lentamente la mano, coperta da un guanto, ghigliottinandosi la gola con il pollice.

Il pullman partì.

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Che notizie nasconde il giornale?
Chi era quella figura misteriosa?
Scopritelo nel prossimo capitolo: “Il Killer dei corridoi”

Elisa Battista

(ex 5 C, ormai studentessa universitaria)

Anche quando il tempo è già passato

AI TUOI SETTANTA

(Dedicata a Padre Piero Buschini, nel suo tempo dell’Eternità)

Lo scacco del tuo tempo disatteso

Giunge e percuote fragili le ossa

Ché sanza luce lo sguardo rimanga

Ai piedi d’una voce a te nascente

 

Mai nata se non da spazi eterni

Da te colta come onda infranta e rotta

Che il petto rifugge animoso e dolce

Conosce la tua vita unica e schiva

 

Ergi la fronte alta nel cammino

Sazia non è sostanza spirituale

Discerne il fato la Divina Grazia

 

Tu Sali e suggi linfa d’elezione

Lungi sempre dal turbamento ascoso

Ché sì alto vola il tuo respiro

 

Elisabetta Boschiggia

 

Nome di battaglia Mosca

A mio padre

A tutti i partigiani

 Quella notte del martedì 24 aprile non avevamo dormito, eravamo stanchi,  carichi di aspettative e di paure per la notte che dovevamo affrontare. Gli ordini erano stati recepiti e il sangue bolliva; faceva freddo e nella cantina della cascina di Aramengo che ci nascondeva si sentivano parole, frasi e ricordi degli amici partigiani che non ci sarebbero stati per l’impresa della mattina seguente…”Sentito Pin quel rumore che vien da fora? Eh, o sentito?” diceva Meo il veneto. Pin se ne stava accartocciato nel suo pagliericcio a mugugnare che aveva fame e che magari ci fosse una gallina là fuori che le avrebbe tirato il collo subito. “E ora se no te ve ti a vedere, n’darò mi che no so tranquio…me ricordo sempre del Garlasco, seto, che fine chel ga fatto chea notte, insieme tutti st’altri, dopo che chea bestia dea contessa la ga parlà coi so amissi neri…xe sta così bruto chel  rastreamento che te o lezare’ sol libro de storia… vero Pin?”

Ma Pin continuava a mugugnare e a dire parole e a battere i denti. Chissà che ora era, i rumori del cortile mescolavano fruscii di foglie, razzolare di qualche animale, l’“hu-u-ou” della civetta che faceva rabbrividire, il raspare dei cani che si abbaiavano a vicenda, raccontandosi storie anche loro, le storie ululate della notte e quella notte era davvero una strana notte, pareva che contenesse sguardi, umori, paure, ribellioni, sogni, pareva soffocante e desiderata e non sembrava aver confini.

Si alzò il Diavolo rosso, salì le scale e  andò verso la porta, socchiudendola quel po’ da permettere ad un raggio di bianca luna di penetrare lievemente all’interno e lasciar intravedere fino giù i corpi agitati, gli occhi sbarrati alla ricerca di qualcosa. Si spinse fuori piano per ruotar veloce la testa e annusare l’aria e poi rientrò, forse rassicurato un poco e si sdraiò di nuovo e provò a chiudere gli occhi…

L’aria pareva solida, non entrava dentro ai polmoni, come si poteva dormire con tutti quei sentimenti. “Ehi Mosca, hai un pacchetto di Popolari, eh?”

Me ne stavo rattrappito a rimuginare tra me e me, tanto che non pensavo nemmeno a fumare: chissà cosa starà dicendo Radio Londra e se gli alleati stanno avanzando nel bel mezzo della notte, e poi dalle parole di Saetta dell’altro giorno non abbiamo più avuto notizie. E’ venuto il 19 a dirci di Torino, dell’agitazione del giorno precedente, che gli operai erano scesi nelle strade con gli studenti, tutti gli stabilimenti erano fermi, tutto serrato, tutto sospeso, solo la gente si muoveva e urlava “sciopero generale, sciopero generale!” perché era iniziata la battaglia della liberazione.

Saetta raccontava che i Comandi Zona assicuravano la viabilità alle forze alleate che arrivavano da Genova e da Piacenza. Si vedevano fuggire capi fascisti e persone sospette venivano fermate. Raccontava con spasimo, con quella vena del collo che si gonfiava di ardore giovanile.

Saetta mi è piaciuto dalla prima volta che è arrivato a Primeglio, quando stavamo nascosti vicino alla Madonnina perché Matteo e Gisella, mia sorella, staffetta anche lei, ci davano un pollo e la polenta e anche un bicchiere di Barbera: era una festa quando si sentiva il profumo del vino. E poi magari sbucava anche Luigi, rientrato a casa malato dopo il ’43 e mi dava una pacca sulla spalla con la sua voglia di ridere e di fare scherzi. “Guarda chi c’è, Giuseppe eh?” Si stava un po’ in allegria, ma sempre col fiato sospeso, perché quello era posto di tedeschi. E arrivava anche Rina, la più piccola che voleva prendere la bicicletta di Saetta e gli saltava in braccio, cercando una carezza.

Saetta era di casa; se lo ricordavano tutti quando era arrivato con la sua bicicletta sovversiva, il bavero della giacchetta tirato su e il cappello di lana grigia sugli occhi che il prete gli diceva “Ma tirati su quel cappello Saetta che non ci vedi e vai contro un albero!” Giungeva di fretta, con la vena del collo gonfia dalla corsa sulle colline e ci consegnava le disposizioni, senza tante parole: un ragazzo di quindici anni forse, con lo sguardo all’orizzonte. Mangiavamo insieme, poi fumava la sua Milit, due parole e se ne ripartiva con quella vena che pulsava.

“Sì, tieni Diavolo, la Popolare, vengo fuori anche io a fumare che intanto qui non si respira”. Gli diedi la sigaretta e strofinai lo zolfino sul muro della stalla. Diavolo tirava su delle boccate che neppure il demonio in persona sarebbe riuscito; si sentivano i suoi bronchi ansimare come il fondo più remoto di una caverna.

“Penso alla Gina”, disse “chissà se ancora mi aspetta, ho sentito dire che anche lei collabora su da Cocconato. Cosa dici Mosca eh? Saranno arrivati gli alleati giù a Torino, avranno sparato, avranno catturato dei tedeschi? Dobbiamo scendere dai boschi fino a Bosco Rotondo, andar giù piano nell’oscurità che i tedeschi son pronti da qualche parte a farci un’imboscata. Mosca dai, cominciamo a scendere che qui non si combina niente di buono ad aspettare… ad aspettare che cosa? Che arrivino a stanarci come delle iene bastarde e affamate?”

Diavolo era così, impetuoso e di fuoco prima di una battaglia, ma dovevo stare calmo e il ricordo del tradimento della contessa e del rastrellamento successivo che ne aveva portati via troppi di compagni, mi aiutava a restare ancora fermo. Guardavo il cielo solitario lassù che con le sue stelle pareva continuare dal nero della sagoma della collina e strizzavo gli occhi per distinguere la forma della chiesa. Ripassavo le direttive del CLN date la sera stessa a tutti i Comandi di Zona e trasmesso a noi. Dovevo scendere coi ragazzi della “Montano” anche prima dell’arrivo degli alleati, perché era stato detto che Torino doveva liberarsi da sola e che giù avremmo trovato formazioni cittadine a far da cintura protettiva alla città. L’aria passò veloce quasi a scuotermi dal mio silenzio e sentivo le boccate del Diavolo… “ Tra un po’ si va, Diavolo, preparati. -Aldo dice 26 x 1 !-”

“Dai ragazzi prendete queste due tome che ho nello zaino e aprite quella bottiglia di Matè che ci scalda prima di metterci in armi, bestie di combattenti col sangue che ribolle”

Ci dividemmo le tome col pane secco e bevemmo il vino in silenzio, scambiandoci sguardi. Era venuta l’ora, il buio era al punto giusto e la luna lasciava spiragli  che aiutavano a confondere le ombre degli alberi con le nostre. Caricavamo i fucili e le munizioni negli zaini, la mitragliatrice e  regolavamo i cinturoni dei pantaloni con le pistole e i coltelli, sistemavamo i lacci degli scarponi e ci stringevamo le giacche. Era venuta l’ora di scendere. Dissi andiamo ragazzi che Torino ci aspetta e non dobbiamo crepare nel vento delle colline.

I fruscii delle foglie sussurravano nomi e per terra schioccavano i legni, si mescolavano odori di bosco e di guerra, si scendeva, si scendeva: il tempo sospeso ci schiacciava e spingeva. L’aria era trasparente e si vedevano i nostri respiri, le parole sussurrate ci legavano e gli occhi cercavano intorno.

Superata la prima tratta di collina  ci tuffiamo per terra e strisciamo sull’erba perché sparano coi malefici sputafuochi: i tedeschi, i tedeschi! “Stai zitto e vai, continua Diavolo che non ci vedono” E tutti con la gola chiusa strisciamo ancora, e ci mettiamo in ginocchio per aggrapparci agli alberi e tirarci su. Il patema ci rincorre, vorrei urlare per far uscir la tensione che mi chiude lo stomaco e mi soffoca, non controllo il respiro e il cuore mi pulsa nelle orecchie. Ci siamo, ce la facciamo ragazzi, sentite i colpi che sembrano la festa della liberazione. Nella mente si confondono immagini, mentre rovisto per terra per capire cosa fare: mi appare l’immagine di Pietro tornato dall’Algeria a Cocconato, nero di pidocchi che non era bastata una bomboletta di flit ad ammazzarli,; è lì come a indicarmi di andare che c’è il muretto a riparare… Si va ragazzi, si va… ci muoviamo tra le bombe dei tedeschi come caprioli sulle rocche del Rocciamelone. La voce di Pin urla insieme allo scoppio di una granata che lascia a terra cinque compagni e sferza la corteccia di un albero. Sudore e rabbia si mescolano al sangue dei feriti e alla terra. “State qui che tempo due ore e qualcuno sale a prendervi. Lupo, Baffo, Piccard restate con loro. Legate la ferita di Pompeo che perde troppo sangue.” Continuiamo a scendere e a Bosco Rotondo saliamo su tre camionette e facciamo il  tratto fino a Chieri e poi saliamo verso Pecetto; le bombe non ci riguardano più. Vediamo in lontananza, lungo un sentiero nascosto nell’ombra, una brigata nera; una voce intima di fermarci e partono colpi di fucile, ma noi andiamo veloci, spariamo qualche colpo e li seminiamo.

Le prime luci dell’alba rischiarano la notte fredda e i nostri volti tesi. Ci siamo, ragazzi, ci siamo… Da Pecetto scendiamo a piedi e ci uniamo a formazioni di cittadini, respiriamo l’aria della insurrezione di Torino, spariamo al nemico che si ritira e che distrugge, a squadre che si muovono per compiere sabotaggi… e  corriamo giù dalla collina di Moncalieri per entrare in città dal ponte Isabella e chiudere a tenaglia, e raggiungere Piazza Vittorio…-Aldo dice 26 x 1 !-

Sono stordito dalle granate e dagli spari e corro col fucile spianato, sento il vento e il sole tiepido, sparo al nemico che compare e ammazza più borghesi che partigiani, sparo al nemico che ha ucciso, ha torturato, ha fatto razzie, ha bruciato cascine; sparo e non mi fermo perché l’ora della libertà è questa. Entriamo sul ponte, ci siamo ragazzi…ci siamo. Sento i respiri, gli affanni, gli spari, le granate che sibilano, vedo la luce dell’aria carica e densa, sento la pioggia della mitragliatrice e corro, corro e sparo.

Un calore bruciante mi sale al cervello, la gamba non risponde, la gamba trema, la gamba si apre e lascia scorrere un liquido caldo e cado per terra tra il sangue… guardo il cielo e poi, più niente.

Quella domenica mattina di fine aprile del 1964 c’è il sole e sono seduto davanti alla Consolata a prendere il Bicerin. Mia figlia ha quattro anni e corre sulla piazza ridendo con mia moglie. Gusto quella bevanda che pare la liberazione dei sapori curati da abili mani. “Tu sei Mosca!” Mi giro di colpo e sento come un vortice di tempo che mi prende. Lo guardo negli occhi, lo guardo e vedo quella vena sul collo… “Saetta…Tu sei Saetta”.

Gli occhi umidi di commozione sfumano il suo volto.

Mi alzo e ci abbracciamo in silenzio, a lungo.

 

Elisabetta Boschiggia

Ringrazio per la preziosa collaborazione i miei cugini Marina Conrotto e

Flavio Boschiggia

Riscoprire la Bellezza e il suo valore

Al concetto di bellezza non è possibile attribuire un unico significato, poiché ogni
persona la associa a qualcosa di diverso; si tratta, in ogni caso, di qualcosa che suscita
dentro ognuno di noi un sentimento piacevole, che ci fa stare bene e ci appaga
l’animo.
Questa “magnificenza” possiamo coglierla tramite i nostri sensi, perché è attraverso gli
occhi che possiamo notare lo splendore di un panorama ed è con il gusto che
troviamo il piacere di assaporare piatti nuovi, è mediante l’udito che si può godere
la melodia di uno strumento e con il tatto riscoprire l’incanto di una carezza,  infine è
con l’olfatto che possiamo riscoprire odori ormai dimenticati.
Al giorno d’oggi abbiamo. però. scordato il vero senso della bellezza, l’abbiamo
sottovalutata e l’abbiamo associata a cose superflue,, come l’aspetto estetico di una
persona, l’eleganza di un abito, l’acquisto dell’ultimo modello di un telefono o di un
paio di scarpe, e l’abbiamo, così, privata delle sue semplici qualità.
Mi sembra di poter dire che ora abbiamo riscoperto in parte il senso della bellezza, ora, rimanendo a casa, ora che proviamo emozioni nella lentezza del tempo sospeso, non più impegnati a scorrere le inutili pagine del nostro telefono, a rispondere a
inconcludenti messaggi rivolti a persone cui non siamo davvero interessati; ora che
abbiamo scoperto coloro che ci amano gratuitamente, senza doverlo
dimostrare attraverso una foto postata sui social.
Ci stiamo accorgendo delle cose che veramente ci rendono felici e di quanta
fortuna avessimo già prima di tutto questo, quanta bellezza ci circondava, quante
persone davvero tenevano a noi mentre eravamo indaffarati nell’ammirare ogni
cosa materiale e mai ciò che il nostro cuore provava a indicarci.
Ci eravamo dimenticati il vero significato della bellezza, che risiede nella
semplicità e ci eravamo “montati la testa” per inseguire modelli e personalità che non ci
appartenevano, nascondendoci dietro ad un viso che non era il nostro e sorvolando su
sensazioni che agli occhi degli altri ci facevano sembrare deboli o strani.
In questi giorni di silenzio e di stasi ho davvero scoperto quanta bellezza vi è in un abbraccio desiderato, in un bacio o in una carezza di conforto, in un “ti voglio bene”
spontaneo o in un grazie ogni tanto: sono tutti piccoli gesti che, come mi dice
sempre papà, “valgono tanto per chi li riceve e costano poco per chi li dona”.

Ho meditato molto anche sulla bellezza dello stare insieme e godersi l’affetto della
propria famiglia, mi sono pentita di non aver mai preso sul serio i consigli di mio
papà, perché ero convinta che le cose davvero importanti per me lui non le sapesse,
quando, in realtà, ne era a conoscenza talvolta anche più di me stessa. Mi sono resa
conto di non aver mai ricordato a mio fratello quanto gli voglio bene, perché ero
impegnata a rispondergli male e non ascoltarlo, anche quando lui cercava solo un
po’ di affetto e tempo da passare insieme a me. E solo ora che non posso vederli, mi
sono anche accorta di non essermi davvero goduta gli abbracci di mia nonna e i
sorrisi di mio nonno, ho capito di aver sprecato tempo a litigare col mio fidanzato
per cose che non avevano davvero importanza e avergli attribuito colpe che non gli
appartenevano…
Ho capito di aver sottovalutato l’importanza delle uscite con gli amici o le
serate in discoteca, perché tanto ormai erano routine; mi dispiace di non aver
apprezzato i viaggi e le gite vissute in famiglia, perché  le vedevo come una cosa
“normale” anziché valutare gli sforzi di papà per potersi permettere di portarci in
posti così belli.
Soprattutto ho riscoperto di avere dei passatempi che mi appagano e mi
danno felicità, non avevo idea di quanta bellezza ci fosse nel leggere un libro, nello
scrivere qualche pagina di diario e nel passare il tempo in giardino, piantando nuovi
fiori o pitturando i vasi rovinati dall’inverno. Ho riscoperto anche il piacere di
cucinare una torta, di disputare una partita a carte con la mia
famiglia e guardare un film tutti insieme, ho capito che è bello darsi una mano,
portarsi rispetto e donare tranquillità anche ai nostri cari, anziché pensare solo a noi
stessi. Mi sono resa conto di aver dato poca importanza al dimostrare i miei
sentimenti verso le persone cui tengo e ora, che sono lontana da loro, non posso
restituire se non attraverso una chiamata, senza avere l’opportunità di
dimostrarglielo davvero.
A mio parere questa quarantena ha portato molte sofferenze, ma anche molti
doni: ci sta dando l’occasione di ricominciare, di ragionare sui nostri errori e non
commetterli in futuro, di apprezzare ciò che abbiamo e trovare la bellezza nelle
piccole cose, perché, alla fine, è lì che si trova. Un po’ di tempo fa avevo letto una
frase di Anna Frank che mi è piaciuta molto: “Pensa a tutta la bellezza ancora
rimasta attorno a te e sii felice.” È proprio vero: molto spesso dovremmo fermarci e apprezzare quello che abbiamo senza doverci costruire mille realtà diverse e false .
Per notare la bellezza dobbiamo affidarci alle cose vere che costituiscono la nostra
vita, perché è attraverso la verità che si ritrova coerenza con la realtà.

ELISA CLERICO

Classe IV B

bell 2
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Vi scrivo dalla mia cameretta perché…

Ciao a tutti, sono una ragazza piuttosto pigra, perciò non pensavo avrei avuto così tanti problemi in questo lungo periodo di chiusura per il virus, eppure mi sono accorta che sul foglio dove ho segnato i giorni della quarantena essi sono crocettati con un tratto sempre più calcato ed irritato, perché  sono tutti uguali, non c’è un giorno in cui vedo un’amica e uno in cui esco con il mio ragazzo, uno in cui perdo o prendo il pullman, uno in cui prendo il toast o la pizza al bar, c’è un unico lunghissimo giorno in cui mi sveglio e sono qui, e basta. Il virus, insomma, ha messo alla prova la società, ha chiesto a tutti di fermarsi e di riflettere e le persone hanno reagito sia con difficoltà, esprimendo sentimenti di  paura, di diffidenza verso chi sta intorno e di pessimismo, sia  con comportamenti positivi, ad esempio esprimendo la creatività e l’adattarsi alla situazione.Nella zona di Torino di San Salvario, ad esempio, molte persone si sono affacciate dalle finestre e dai balconi a cantare e a suonare insieme, nonostante la situazione.  Alcune persone hanno criticato queste esternazioni, come se si stesse prendendo alla leggera la situazione, ma, a mio parere, chi è uscito dai balconi ha semplicemente trovato un modo per passare il tempo, cercando di stare insieme, pur se ognuno da casa propria, comunicando un po’ di positività e di buon umore.

In ogni caso,oltre a questo,credo che la riflessione sulla tecnologia di oggi, che ci permette azioni impensabili fino a non molti anni fa, come i messaggi, le videochiamate, grazie alle quali possiamo vedere e parlare direttamente con chi vogliamo o la possibilità di mandare foto e video a chiunque in pochi istanti, vada fatta. Spesso gli adulti dicono che stiamo troppo attaccati al cellulare, quasi sostituendo la vita vera con quella virtuale, ed ora che l’unico modo per comunicare è usare la tecnologia anche per loro, io non credo di essere l’unica a sostenere che sarei disposta a buttar via telefono e computer all’istante, pur di vedere qualche amico per davvero. A me personalmente manca in modo smisurato il contatto fisico con gli amici e con le persone in generale, ci sono veramente troppe cose che nessun oggetto, e neppure il cellulare, sarà mai in grado di sostituire… Guardare negli occhi qualcuno e vederli brillare tanto da volerci sprofondare dentro, sentirne la risata in modo nitido, dare un abbraccio, una pacca sulla spalla, buttarsi sul divano insieme ridendo e guardare un film commentandolo, mangiare insieme e un’infinità di altre cose che non potranno mai esser sostituite da nulla, perché belle solo se vissute davvero.

Ricordo con tanta nostalgia l’ultima serata passata a casa di amici, ho sempre pensato che non facevamo mai nulla di speciale, eppure ora quel “nulla” è più speciale che mai.

È in questi momenti che si realizza che “casa” non è solo un edificio, ma sono anche le persone con cui si sta, forse soprattutto loro, il calore che ci danno e che si può percepire nell’atmosfera. Io amo la mia casa e la mia camera, così come i miei genitori, ma sento freddo, un freddo che mi circonda e mi entra dentro, così protendo le braccia pensando ci possa essere qualcuno, ma le sento circondare me stessa, perché ci sono solo io.

Per questo motivo ho scritto una lettera ad una persona a cui tengo molto, per far sì che avesse qualcosa di mio da tenere e da conservare… Le lettere hanno un grande fascino che si è ormai perso nel tempo, a causa di tutti gli strumenti precedentemente citati, eppure è stata veramente un’esperienza bellissima scriverne e mandarne una. È quasi strano parlarne come se fosse una cosa straordinaria, in fondo i nostri genitori hanno comunicato con lettere da giovani.

Mi è venuta in mente questa idea di scrivere una lettera, anche perché insieme a mia cugina avevamo ritrovato delle lettere dei nostri genitori, e a me personalmente piacerebbe un giorno lontano, ritrovare delle lettere della mia giovinezza, e non una chiavetta usb, ad esempio.

In ogni caso, tornando alla lettera, non credo sia necessario dire l’emozione nel sapere della lettera arrivata… Un’emozione che sicuramente appartiene al secolo scorso, ma che ha ancora tanto da trasmettere. Dentro ci ho messo un paio di pagine scritte, qualche foto e tutto l’affetto che non posso dare in questi giorni.

Forse questa quarantena aiuta anche a sviluppare nuove idee, a riflettere su se stessi e sugli altri.

Io sono giunta alla conclusione che non si può stare soli. Forse può sembrare banale, ma non ci sono molte occasioni per pensarci davvero, raramente capitano situazioni come questa, e ovviamente è un bene, ma è dalle situazioni difficili e dolorose che si impara di più, credo, quindi, che sia un insegnamento per tutti.

Come ho già scritto, ho patito molto questa situazione inizialmente, non che ora mi diverta, ma ho capito che disperarsi non porterà a nessuna conclusione, così mi sono esercitata a trovare qualcosa da fare, come dipingere dei girasoli sulle ante della finestra, imparare qualcosa di nuovo alla chitarra e migliorare, dato che sono agli inizi, e anche pitturare una vecchia cassettiera….tutt belle sensazioni.

Quando ero alla finestra a dipingere fiori con la musica ed il sole che tramontava dietro le montagne illuminandomi, ho sentito come un soffio di vento che ha risvegliato quel qualcosa che pareva essere morto in me e che prima mi trascinava sempre a letto a non far nulla…. Oltre al sentirmi libera ho anche riflettuto su quanto dobbiamo essere grati ai medici, agli infermieri e a tutti coloro che stanno rischiando per salvare il maggior numero possibile di persone. A volte mi sento in imbarazzo a lamentarmi per quel che mi fa stare male, se penso a cosa passano, invece, certe persone; però sostengo anche che la percezione di un problema è personale e dipende da persona a persona, perciò non credo sia sbagliato preoccuparsi per ciò che considero faccia soffrire me, come il sentire le mura di questa casa, a volte, così strette intorno a me.

Non so cosa cambierà a livello umano dopo il passaggio di questo virus, so che l’economia sarà danneggiata e che prima di tornare alla normalità ci vorrà del tempo, e non so se tra le persone ci sarà più affetto o più odio, o magari semplice indifferenza. Tanti accusano qualcuno di avere una qualche colpa, per una uscita, per non mantenere il metro di distanza da qualcuno;  personalmente, non vedo il senso dell’odiare, della rabbia,ormai ciò che è successo è successo e non si può cambiare sicuramente accusando gli altri, a volte in modo anche ingiustificato.

Posso dire, per quel che mi riguarda, che sarò più affettuosa con le persone a cui tengo, perché le ho sempre avute accanto, non dando troppo peso a quell’abbraccio dato ad una mia amica o al cinque che ho battuto a quell’altro mio amico, ma ora che non ho le persone accanto, posso accorgermi di quanto fossero importanti, perché tanto è sempre così: non si è grati per ciò che si ha finché non lo si ha più, è allora che ti accorgi di quanto valore avesse.

E allora mi piace pensare di aver imparato qualcosa e di ricominciare ad uscire sapendo dare più valore a quei gesti che, pur se piccoli, insieme riempiono le nostre vite…e….comunque…aspetto le vostre lettere…

Sono…

SARA BASSI  della 

2 K  Liceo Linguistico dell’IIS Majorana di MoncalieriLettera

 

 

Fronte del porto: una lettura per pensare

La scorsa settimana immerso nella ricerca dell’ennesima serie da finire su Netflix, che mi aiuta a trascorrere questo lunghissimo periodo di segregazione, mi sono ricordato che di lì a breve ci sarebbe stata una scadenza per un compito di Italiano. Allora, ancora con il pigiama e il telecomando in mano, ho deciso di alzarmi dal letto e di iniziare a cercare materiale per il compito. Ma leggendo le tracce per il tema, mi sono accorto di dover scrivere per il blog della scuola, un confronto tra un film e un romanzo. Perciò eccomi qui a provarci per voi lettori, spero di riuscire a strapparvi via dalla noia e dall’impotenza.

Il romanzo e il film di cui vorrei parlare (ovviamente senza spoiler) sono legati alla famosa storia  “Fronte del porto” (On the Waterfront in inglese). Il primo è il romanzo di Budd Schulberg meno conosciuto e il secondo è la rappresentazione cinematografica di Elia Kazan,più celebre e pluripremiata. So che starete già pensando di tornare a dormire, però se aveste del tempo e della noia da ammazzare, potrebbe farvi piacere leggere qualcosa che non parli di quarantena o di virus.

Il romanzo e il film seguono la stessa storia con piccole variazioni nella trama e differenze tra i nomi: un ex pugile fa parte di una gang che controlla il lavoro dei portuali e, dopo aver provocato involontariamente la morte di un operaio, che si batte per i diritti della sua categoria, passa dalla parte dei lavoratori. Però, a parer mio, essendo anche tipologie di opere diverse, hanno stili divergenti e senza dubbio particolari. Nel caso del libro ci si concentra maggiormente sul linguaggio, molto forte e crudo, soprattutto non ricercato e spontaneo, esattamente com’era nell’ambiente del porto della cittadina di Bohegan, nel Molo 80, negli anni Cinquanta. Schulberg, infatti, non potendolo rappresentare visualmente, vuole trasmettere in modo più concreto possibile, l’ambiente violento e reale del porto. Ci penserà, poi, il regista Elia Kazan, che deve addirittura riadattare la sceneggiatura in modo da renderla più accattivante  per gli spettatori, con un buon finale. Ciò nonostante il libro è scorrevole, anche grazie alla scelta di non usare molta punteggiatura e dell’innumerevole quantità di discorsi diretti. e realistici, senza orpelli letterari.

La visione del film, invece, permette di assimilare con più calma la cruda realtà dell’ambiente mafioso, lasciando allo spettatore il tempo di capire i personaggi e i cambiamenti in essi. Anche nel casting hanno fatto un buon lavoro, poiché vediamo un giovane Marlon Brando nei panni dell’ex pugile e, soprattutto, riusciamo a identificare facilmente i volti dei mafiosi, grazie ad attori con visi riconoscibili. Gli argomenti trattati sono gli stessi, poiché le ingiustizie nei confronti dei più deboli e l’abuso di potere da parte dei più forti, sono delle tematiche molto delicate ed entrambe le opere sono utili a diffondere consapevolezza. Infatti, in questa storia, i più deboli, ovvero gli operai, spinti da un terribile evento e stufi di restare in silenzio a guardare, decidono di combattere per i propri diritti contro i prepotenti, ovvero i mafiosi. Nel romanzo troviamo in modo più tragico questi argomenti, anche il finale è molto diverso dal film che, dovendo essere un prodotto più commerciale, cerca di ammorbidirlo rendendolo un lieto fine. Budd Schulberg non è stato l’unico a parlare di queste tematiche e non casualmente Elia Kazan aiutò nel diffondere nel far capire la triste realtà di ambienti lavorativi come questi; infatti aveva prodotto precedenti pellicole che denunciavano la corruzione nell’ambiente cinematografico. Spero che anche voi, futuri lettori, possiate capire ciò che queste opere vogliono manifestare e se siete stati incuriositi da una delle due, ecco qui il mio consiglio.

Se volete la versione più cruda e più reale della storia vi consiglio di leggervi il libro, invece se siete più pigri e avete due ore da impiegare, potete provare con il film. Soprattutto spero che, in entrambi i casi, queste storie vi ricordino che restare chiusi in casa per un po’ di tempo non è una tragedia. Si potrebbe anche aggiungere che un periodo come questo, che senza dubbio passerà alla storia singola e collettiva, vuole un bel romanzo che lo ricordi. Dunque a voi l’inizio!     Buona quarantena.

Ludovico Zocchi          Classe 2 K Liceo Linguistico       Fronte 1Fronte 2

 

Essere insieme e LIBERI a Palermo

Il giorno 4 febbraio 2019, noi  studenti delle classi: 3B e 3C dell’IIS Majorana di Moncalieri sezione tecnico-economica ci siamo recati a Palermo per svolgere un percorso educativo sulla legalità e sull’antimafia. Questo percorso è stato possibile anche grazie alla collaborazione con  Libera il Giusto di Viaggiare, Libera Terra per i beni confiscati alle mafie, che ci ha fatto conoscere ed apprezzare la professionalità e la serietà di Gabriele e Aurora.

La nostra scuola è presidio di Libera, quindi  il nostro Istituto promuove le iniziative di Libera; inoltre l’Auditorium della sezione liceale è dedicato proprio a Peppino Impastato.

L’obiettivo di questo percorso di formazione è stato quello di sensibilizzare noi studenti sull’ambito mafioso nato in Sicilia e, ad oggi, presente in tutto il territorio nazionale.

Inoltre l’obiettivo di Gabriele e Aurora è stato quello di spiegarci e farci capire ciò che fa Libera, quindi loro e i loro colleghi, tutti i giorni ; per esempio con l’uso dei beni confiscati alla mafia dallo Stato, infatti è stata propria l’Associazione Libera ad aver combattuto per la stipulazione della Legge del 96 per il riutilizzo di questi beni.

Abbiamo anche conosciuto la Cooperativa “Cotti in flagranza” che si occupa di dare una formazione e un lavoro ai ragazzi che si trovano in stato di detenzione.

Oltre a ciò, in questo viaggio abbiamo anche esplorato ed ammirato alcune delle meraviglie artistiche dell’isola, come la cattedrale di Palermo, la Cappella Palatina e Monreale con la preziosa guida  di Gino , detto simpaticamente Giacco!

Non sono mancati ovviamente i momenti del gusto con le molte prelibatezze gastronomiche locali… come dimenticare il tentativo di mangiare i cannoli siciliani a Portella della Ginestra, tra il vento gelido e la neve?

Ed ancora abbiamo vissuto l’esperienza di perderci nei  paradisi naturali della Riserva dello Zingaro.

Un viaggio, certo, di conoscenza è stato, di consapevolezza , di immersione nella complessità e nella ricchezza palermitana, ma, soprattutto, è stato e resterà un viaggio del cuore e di speranza.

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Andrea Arrigo

Yassine El Hilali

3B AFM

Libera con noi a Palermo!

La mafia, argomento del quale le persone preferiscono non parlare, non è poi cosi lontano da noi.

Nella maggior parte dei casi, condizionati da stereotipi, alimentati dalla disinformazione a riguardo, si tende ad etichettare solamente il Sud Italia, non prendendo in considerazione la mafia presente al Nord della nostra penisola.

Il nostro viaggio è avvenuto in compagnia di Gabriele ed Aurora, mediatori culturali di Libera il Giusto di Viaggiare e Libera Terra per i beni confiscati alle mafie (partner dell’ Associazione Libera presieduta da Don Luigi Ciotti, fondata nel 1995) che ci hanno condotto alla conoscenza della società civile impegnata nella lotta alla criminalità organizzata per favorire la creazione di una comunità alternativa alle mafie stesse ed è iniziato  con la visita di luoghi della memoria di Palermo.

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Il primo luogo visitato nel quale abbiamo avuto modo di approfondire le nostre conoscenze è stato Via D’Amelio, cornice dell’ attentato ai danni di Paolo Borsellino, magistrato di Palermo che possedeva molte informazioni all’interno della sua agenda rossa, la quale, pochi istanti dopo la sua morte, spari’ senza lasciar alcuna traccia. Nel terribile attentato erano deceduti anche i cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi ( prima donna a far parte di una scorta, e prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Nella buca lasciata dall’esplosione, in memoria del giudice, per iniziativa della madre Maria Pia Lepanto, è stata  posta una piantina di olivo, proveniente da Betlemme, come simbolo di rigenerazione, solidarietà, pace, impegno civile e  giustizia per tutti.

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Siamo, poi, passati da Capaci, luogo nella quale è stato assassinato il magistrato Giovanni Falcone, saltato in aria insieme agli agenti della sua scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro e la moglie di Falcone, Francesca Morvillo, il 23 maggio 1992, lungo un tratto dell’ autostrada A29, in seguito a un’esplosione: Falcone fu il primo magistrato ad ostacolare in modo pesante e determinato l’organizzazione mafiosa.  

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Ci siamo recati anche a Portella della Ginestra, il luogo naturale e montano era stato lo sfondo di un  eccidio commesso il 1° maggio 1947, presumibilmente da parte della banda criminale di Salvatore Giuliano, che sparò contro la folla, riunita per celebrare la festa del lavoro, provocando undici morti e numerosi feriti; il caso rimane tutt’ora irrisolto.

Il nostro viaggio continua con la scoperta della realtà del riuso sociale dei beni confiscati alle mafie nell’Alto Belice Corleonese, in particolare la cantina dei Cento Passi, confiscata a Giovanni Brusca, mandante della strage di Falcone, tutt’ora pentito di mafia e collaboratore di giustizia. 

Infine, per concludere questa magnifica esperienza culturale sulla legalità che ci ha arricchito di sapere e ci ha resi più sensibili nella lettura della realtà, siamo andati a Cinisi, luogo nel quale è nato e cresciuto Giuseppe Impastato, conosciuto da tutti come Peppino, noto per le sue denunce nei confronti di Cosa Nostra, assassinato il 9 Maggio 1978 a Cinisi, in seguito alle sue scoperte riguardo traffici di droga e persone colluse con la mafia.

Figlio del boss Luigi Impastato e Felicia Impastato, intraprese la sua carriera da giornalista, non accettata da Don Tano Badalamenti, che commissionò il suo assassinio.

Avremmo potuto entrare di più nei particolari, ma è complesso racchiudere in poche righe conoscenze, esperienze, sensazioni personali legate alle scoperte fatte di volta in volta… Certo è che l’esperienza vissuta e condivisa tra compagni di scuola è stata non solo formativa ma altamente emozionale e arricchente che ci aiuterà a diventare uomini del futuro, per il futuro.

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Leonardo Marchetta, Giorgio Di Giansante 3^C

Bellezze di Palermo e dintorni

Durante l’esperienza vissuta a Palermo, non abbiamo solo trattato temi sociali riguardanti la mafia, ma abbiamo avuto l’occasione di visitare luoghi caratteristici della Sicilia. Come, ad esempio, la Riserva Naturale dello Zingaro, la Cappella Palatina, la cattedrale di Palermo e di Monreale, di cui vi parleremo di seguito.

 

LA RISERVA NATURALE DELLO ZINGARO

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Qui, ci troviamo immersi nella costa dello Zingaro, in Sicilia, che con la legge regionale 98/81 viene ufficialmente istituita Riserva Naturale Orientata “Zingaro”.  Ricordiamo che, una volta arrivati, siamo stati travolti da colori e profumi che ci hanno accompagnato per tutto il percorso regalandoci sensazioni uniche. Grazie alla nostra guida, Gabriele, abbiamo scoperto e conosciuto alcune piante che caratterizzano questo posto come ad esempio la Palma Nana che raggiunge normalmente altezze sino a 2 metri e le foglie sono large, robuste e a ventaglio. I suoi fiori sono di colore giallo, con peduncoli brevi. Un’altra pianta importante, che immaginiamo ancora di ammirare avendola trovata lungo il nostro cammino, è la Ginestra, pianta con un’antica origine E’, infatti, impiegata fin dall’ antichità come pianta da fibra.

 

LA CAPPELLA PALATINA

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La cappella Palatina si trova all’interno del Palazzo dei Normanni, costruito nella paleopoli, la parte più alta e antica della città. La Cappella Palatina, che significa cappella del Palazzo, fu voluta da Ruggero II d’Altavilla, primo re normanno di Sicilia e fu utilizzata da quest’ultimo come cappella privata nel 1130.
Un tempo il suo aspetto esteriore era totalmente diverso. Della sua facciata originaria non è rimasto quasi nulla perché inglobata da altre strutture più recenti. Originariamente sorgeva isolata, l’abside era rivolta ad oriente come vuole la tradizione bizantina. Interessante è l’immagine che illustra la separazione della terra dal mare. Il globo terrestre è una sfera d’acqua con al centro tre parti di terra che rappresentano i tre continenti allora conosciuti: Europa, Africa e Asia, divise da strisce di mare che formano una Y, simbolo della Trinità . Si osserva anche la scena della creazione di Adamo: si vede una grande rassomiglianza tra il volto di Dio e quello di Adamo sottolineata dalla frase in latino: creavit ominem at imaginem sua.

Unico al mondo e di notevole importanza e pregio è il soffitto. Trattasi di un soffitto fatimita a muquarnas che significa stalattiti o alveoli.

 

CATTEDRALE DI PALERMO

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La Madre di tutte le Chiese è la Cattedrale di Palermo, l’edificio più caratteristico della città. Venne eretta nel 1184 dall’Arcivescovo Gualtiero Offamilio, sul luogo di una precedente basilica, trasformata dagli Arabi in moschea e restituita dai Normanni nuovamente al culto cristiano. Deve la sua maestosità alla presenza delle sue linee architettoniche e alla splendida facciata su cui ergono due campanili ornati da motivi scultorei di elevato valore. In primo piano c’è la Piazza della Cattedrale, ridefinita nel XV secolo ad opera dell’Arcivescovo Simone di Bologna, che fu successivamente recintata e adornata con alcune statue, tra cui al centro il simulacro in marmo di S. Rosalia. La struttura della cattedrale è fiancheggiata da quattro torri d’epoca normanna ed è sovrastata da una cupola. A sinistra si nota il collegamento con il Palazzo Arcivescovile dato da due grandi arcate ogivali, su cui s’innalza la torre campanaria. La facciata principale presenta un aspetto gotico, derivato dalla presenza delle torri bifore, dalle colonnine e dalle merlature ad archetti che corrono lungo tutto il fianco destro della costruzione. Il portale d’ingresso è opera magnifica di Antonio Gambara, eseguita nel 1426, mentre i meravigliosi battenti lignei sono del Miranda (1432).

Consigliamo a tutti voi lettori di visitare questa magnifica città. Ogni angolo di Palermo conquista, regalando emozioni e sensazioni uniche. E’ una città ricca di colori, profumi, arte e tradizioni che travolgono in ogni istante e in ogni dove. In questo fantastico viaggio abbiamo imparato ad apprezzare le piccole cose che la città riserva ma, non solo, abbiamo anche imparato a smettere di associare la parola “Mafia” ad una terra caratterizzata da molto altro. Che dire, è stata un’esperienza unica!

Aurora De Pasquale

Veronica Venera

Alessia La Corte

3B AFM

 

 

 

Oltre la nostalgia…

 

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La nostalgia è un sentimento di rimpianto malinconico nei confronti del passato, che si compie attraverso il ricordo di ciò che non c’è più. È un sentimento dolce-amaro, che, mentre ci porta ad un’inquietudine nel presente, nel frattempo ci spinge a guardare con gioia il passato. Insomma, la nostalgia non è solo un sentimento negativo, anzi. La tristezza che è immersa nella nostalgia deriva dal fatto che qualcosa che abbiamo amato o che amiamo ancora ci sia sfuggito. Nonostante ciò, lo custodiamo dentro di noi in un mondo immateriale eppure non possiamo fare a meno di constatarne l’assenza nella realtà in cui viviamo.

Perché in relazione alla nostalgia abbiamo scelto questo quadro? Cosa rappresenta?                                                                                                                             Questo quadro rappresenta un angelo seduto con il volto appoggiato ad un pugno con uno sguardo diretto verso il nulla, occhi persi ma decisi e tormentati. Come possiamo osservare, l’angelo è circondato da strani oggetti, simboli appartenenti al mondo dell’alchimia: una bilancia, un cane scheletrico, attrezzi da falegname, una clessidra, un solido, mentre nello sfondo, in un cielo buio, rischiarato da una specie di cometa, appare una figura alata portante un telo con scritto Melencolia I.
Così ci appare questa incisione, realizzata nel 1514 da Albrecht Dürer.                            Ma verso cosa tende lo sguardo della figura celeste?                                                              I suoi occhi sono diretti verso un orizzonte che noi spettatori non vediamo ne conosciamo, per molti studiosi questo vagare rappresenta lo stato malinconico dell’artista. 

Ma a cosa è legato questo sentimento?                                                                        La malinconia è quasi sempre legata al tema del ricordo o alla consapevolezza che la bellezza del passato non è più raggiungibile. A questo stato d’animo è collegato il pensiero che il presente ed il futuro non possano più garantire sicurezza e serenità, essendo un vivere verso l’ignoto. È questa la consapevolezza che ruota attorno alla figura angelica dell’incisione dell’artista tedesco, la presa di coscienza dei propri limiti e la disperazione per non poter realizzare tutto ciò che avrebbe voluto.

Com’è vista oggi?                                                                                                                          Anche a te sarà capitato di provare questo sentimento e sicuramente ti sarai sentito scoraggiato e ne avrai attribuito un valore negativo. Infatti, nella società moderna la malinconia è vista solamente come stato d’animo negativo, come passo prossimo alla depressione e quindi malattia da curare. Ma nel passato non fu così. Guardando indietro nel tempo, l’immagine del melanconico si arricchisce di un’apertura della quale l’uomo della nostra società non sembra subirne la bellezza.

 

Aurora De Pasquale

Veronica Venera

3B AFM